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La politica estera al tempo di Silvio Berlusconi: la potenza regionale del bunga bunga

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Dopo il dittatore amico, il tunisino Ben Alì, trema anche lo psicopatico amico, l’albanese Sali Berisha. Anche il trafficante d’organi amico, il kosovaro Hashim Thaci, non è messo tanto bene. Un po’ meglio sta solo il governo del contrabbandiere amico, il montenegrino Milo Djukanovic, sul quale la DIA e la Procura della Repubblica di Bari hanno un fascicolo alto così. Insomma il bilancio del ventennio berlusconiano in politica estera è anche che ai paesi piccoli e dalle economie dipendenti che ci circondano, e che dovrebbero guardare naturalmente all’Italia come satelliti, abbiamo imposto o contribuito a mantenere al potere dei criminali.

La chiamano realpolitik o politica delle pacche sulle spalle ma, come per Emilio Fede e Lele Mora, la sostanza è che invece di supportare lo sviluppo economico e democratico dei nostri vicini più fragili, proprio noi, fermissimi alleati di George Bush nell’esportazione della democrazia, abbiamo preferito farne i nostri pusher e i nostri… lenoni.

Nella politica di una potenza regionale come l’Italia, Tunisia, Kosovo, Montenegro e Albania sarebbero i “pezzi facili”. Da quelli difficili, tipo l’amico massacratore di migranti Gheddafi, invece ci facciamo comprare pezzo per pezzo.