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Carlos Andrés Pérez, ricordo di un carnefice (socialista)

Negli utimi giorni ho ricevuto molteplici richieste in merito e quindi pubblico con piacere un frammento sulla morte di Carlos Andrés Pérez (nella foto con George Bush padre) da un più ampio articolo scritto per il cartaceo di “Latinoamerica” in uscita in questi giorni (gc).

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Carlos Andrés Pérez (1922-2010, in carica nei periodi 1974-1979 e 1989-1993 detto El Gocho, o CAP), militante socialdemocratico fin dagli anni ’30, amico intimo e poi nemico acerrimo di Fidel Castro, terzomondista nel primo mandato e filostatunitense nel secondo, fece una rapida carriera come segretario e poi come Ministro degli Interni di Rómulo Betancourt, del quale fu l’erede politico. “Disparen primero, averigüen después”, “prima sparate, poi controllate” era la regola dichiarata della polizia alle dipendenze di Pérez, una logica criminale che causò centinaia di morti e che tuttora è difficile da sradicare. Divenuto presidente passa alla storia per la pseudo-nazionalizzazione del petrolio negli anni ’70. Questa aprì le porte alla cosiddetta “Venezuela saudita” che significava il saccheggio dell’erario da parte di profittatori privati ma soprattutto del controllo da parte delle multinazionali straniere sul petrolio pubblico del paese.

Passa alla storia, Carlos Andrés Pérez, come l’uomo della sistematica violazione dei diritti umani. Questa culminò nel massacro del Caracazo, con il quale, nel febbraio del 1989, fece assassinare in poche ore un numero di persone mai calcolato ma comparabile a quanti ne furono uccise da Augusto Pinochet in Chile in 17 anni di dittatura. Quando avvennero quei fatti, ed è un’aggravante, CAP era vicepresidente in carica dell’Internazionale Socialista, che oggi lo piange e che allora finse di non vedere. I manifestanti massacrati da Pérez, seppelliti a centinaia in fosse comuni, protestavano contro le misure neoliberali preparate, in ossequio al “Washington consensus” e al FMI, da quel Moisés Naím, allora ministro e complice dei crimini di CAP, oggi implacabile censore del chavismo.

Triste epilogo per un partito, Acción Democrática che, da Betancourt a Pérez, si definiva democratico e antimperialista. Quella dell’89 è oggi considerata in America latina come la prima esplosione sociale contro il neoliberismo all’epoca trionfante, anteriore alle contro-celebrazioni del V centenario del viaggio di Cristoforo Colombo nel ‘92 e alla rivolta zapatista in Messico di cinque anni dopo.

Passa alla storia, Carlos Andrés Pérez, per aver sospeso le libertà costituzionali e censurato i giornali. Passa alla storia per essere tra quelle 3-4 figure politiche di maggior spicco della IV Repubblica che contribuirono a portare la Venezuela saudita a quel 70% di povertà che permise la grande accumulazione di forze del movimento bolivariano. Passa alla storia, CAP, per la comprovata corruzione personale che lo portò (fatto insolito nell’America latina neoliberale) alla destituzione come presidente e al carcere nel 1993. Se per la corruzione fu condannato, per le violazioni di diritti umani non fu mai processato e, quando nel 2002 ne fu chiesta l’estradizione, il governo degli Stati Uniti rifiutò di concederla.

Di fronte a tale curriculum la lettura dei coccodrilli per la morte di un vero carnefice del popolo venezuelano e liquidatore delle ricchezze di questo, quale fu Pérez, è drammaticamente esilarante. Per l’ex-capo del governo socialista spagnolo Felipe González[1] [2], in età avanzata ridottosi al ruolo di lobbysta per conto delle multinazionali iberiche, CAP fu “l’instancabile lottatore per la libertà e la giustizia”. Nel suo scritto pubblicato da “El País” González cita perfino il Caracazo. Ma lo fa solo per ridurlo alla categoria di “disturbi”, riducendo le vittime da migliaia (o molte centinaia anche per i più prudenti osservatori) ad “alcune decine” delle quali si guarda bene dall’addossare responsabilità all’amico. Anzi, il motivo della citazione è solo per ascriversi il merito di aver avvertito Pérez del pericolo Chávez che, di fronte alla diffusa indignazione dopo il massacro, si stava profilando[2] [3].

Gli elogi di González e di “El País” a Pérez sono però superati dal messaggio ufficiale del portavoce del Dipartimento di Stato di Washington, il paese che ha ospitato negli ultimi anni il latitante e che parla a nome del governo statunitense. Per il portavoce Mark Toner, Pérez fu (sic) “un campione della democrazia e dei diritti umani”. Per il complice di questo Moisés Naím[3] [4], che imperversa sui giornali di mezzo mondo non misurando le iperboli né nel bene né nel male, Carlos Andrés fu addirittura un “gigante morale”.


[1] [5] F. González, Carlos Andrés Pérez, homenaje al amigo, “El País” (Madrid), 28 dicembre 2010.

[2] [6] In realtà tra il Caracazo e il fallito tentativo di golpe del Movimiento Bolivariano Revolucionario di Hugo Chávez passarono tre anni, ma è indicativa la correlazione tra i due eventi ammessa da González.

[3] [7] M. Naím, CAP: un hombre defectuoso, “El Tiempo” (Bogotà), 26 dicembre 2010.