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L’ESPRESSO – Se i trasformisti diventano ridicoli

Non serve rinnegare il proprio passato nella speranza così di arrivare al governo. Perché il signore di Arcore non è disposto a mollare il potere ma è pronto a difenderlo con ogni mezzo sleale o illegale che sia


GIORGIO BOCCA


Serpeggia nel corpo del trasformismo nostrano, del nostro riformismo fasullo, una gran voglia di tornare atlantici e filoamericani. E per spiegare questo giro di valzer si sfida il ridicolo teorizzando la guerra pacifista, la guerra democratica di Bush, una tesi alla quale, ha detto Armando Cossutta, “non possono credere neppure i bambini dell’asilo”.


La penosa manovra avviene quanto più l’imperatore americano fa mostra di oltranzismo, mette nei posti di comando i superfalchi, i Bolton, i Wolfowitz, la Rice, afferma la necessità della guerra preventiva e continua, l’occupazione militare di paesi sovrani, minaccia interventi armati.


E questo il diessino Fassino lo chiama “un rovesciamento, qualcosa di molto diverso dalla politica dei democratici americani che negli anni Ottanta con Kissinger, in nome del realismo politico, sostenevano le dittature fasciste nel Sud America fingendo di non sapere che torturavano e uccidevano gli oppositori”.


A parte il fatto che Kissinger era il ministro del repubblicano Nixon e padre spirituale dei superfalchi che ora stanno nel governo di Bush, a parte il fatto che in questa pratica di una politica imperiale non c’è stata differenza fra democratici e repubblicani, verrebbe naturale di riproporre il noto invito di Nanni Moretti all’opposizione che ci ritroviamo “ma dite qualcosa di sinistra”.


Non solo Fassino, ma il coro dei riformisti in servizio permanente, i Morando, Ranieri, Del Turco che dopo aver denunciato per anni la sovranità limitata imposta dall’Unione Sovietica ai suoi satelliti, approvano quella a cui gli Usa ricorrono nell’universo mondo.


Per quale arcana ragione il riformismo di stampo saragatiano rialza la testa e propone tesi assurde come quella della guerra pacifista e democratica? A pensar male a volte si indovina: forse questo atlantismo dell’ultima ora nasce dal convincimento opportunistico che sta maturando un ritorno alla politica di Aldo Moro, a un centro sinistra con i comunisti diessini al posto dei socialisti. Che cioè bisogna mettere a tacere gli estremismi, cambiare il direttore troppo pugnace de ‘l’Unità’, dimenticare che al governo ci sono dei neofascisti, annullare ogni opposizione e stare finalmente, come diceva Pietro Nenni “nella stanza dei bottoni”.


Ma questa idea di un governo democratico, di una gestione democratica in fraterna collaborazione con la destra italiana è una antica illusione: la destra italiana è quella di Berlusconi, di Alleanza nazionale e del ‘ritorno al nero’, non quella dell’arco costituzionale che partecipò alla Resistenza.


La prova l’abbiamo già fatta dopo la liberazione: l’alleanza democratica che aveva funzionato nella guerra fu affossata, i comunisti sistemati in una opposizione senza alternativa, i partigiani cacciati dalla polizia e dall’esercito, le prefetture e le questure in mani fidate. E i democristiani di allora erano incomparabilmente più liberali e più rispettosi dello Stato dei forzisti, neofascisti e leghisti che ci ritroviamo.


Questo riformismo pidocchioso che rinnega il proprio passato (“mai stati comunisti noi, noi eravamo contro il sovietismo, eravamo già allora filoamericani”) non arriverà come pensa, come spera al governo sui tappeti stesi dal democratico signore di Arcore, per nulla disposto a mollare il potere, fermamente, combattivamente, carognescamente deciso a difenderlo con ogni mezzo sleale o illegale che sia come si capisce dagli inizi della campagna elettorale biennale.