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La Birmania? Per il Corriere è colpa di Chávez

myanmar_reut--200x150 Desta sorpresa e un po’ di sconcerto la maniera estetizzante con la quale i media mainstream si sono gettati sulla tragedia della dittatura fondomonetarista birmana, fino a ieri rigorosamente ignorata. Saranno gli abiti dei monaci che producono un effetto fotografico notevole, ma bene, meglio di niente se serve a far scuotere quotidiani che appoggiano senza scrupoli dittature in giro per il mondo chiamando ossequiosamente “Presidente”, dittatori e violatori di diritti umani come Moubarak, Musharraf e alcune decine di altri.

Fa quasi tenerezza l’enfasi messa dai nostri editorialisti di punta, che in una cartina muta scambierebbero la Birmania con il Congo Brazaville, nel compitare il nome del dittatore di quel paese, fino ad allora da loro mai sentito nominare e mai denunciato, nonostante sia al potere da secoli. Than Shwe, per la cronaca. Nell’esaltare la lotta non violenta dei monaci, dei quali non conoscono e non citano alcuna delle rivendicazioni. Nell’evidenziare i guasti di una dittatura repressiva e illiberale in Birmania, oggi Myanmar, che George Bush per farsi vedere reattivo, ha deciso di ribattezzare col vecchio nome coloniale.

Ma la Birmania resta lontana, e nonostante cerchino di metterla in carico al socialismo reale, il gioco riesce poco e male per una dittatura cleptomilitare allo stile indonesiano a tutti gli effetti ascrivibile alla categoria di “dittature fondomonetariste” che sostiene il regime insieme alle potenze locali Thailandia, Cina, India, Singapore e Malaysia, dittature e democrazie, tutte insieme appassionatamente.

La Birmania resta lontana e questa crisi sembra distrarre da quelli che sono i veri obbiettivi della dittatura mediatica mondiale: preparare la guerra all’Iran, continuare a demonizzare prospettive di redistribuzione quali quelle proposte dai governi integrazionisti latinoamericani. E quindi la protesta birmana disturba perché oggi doveva essere la giornata della demonizzazione di Evo Morales e Hugo Chávez che ricevono il presidente iraniano Ahmadinejad. La visita tra i “due demoni” avrebbe dovuto avere ben più spazio e invece viene oscurata dai monaci. Un peccato sprecare l’occasione, nonostante “il dittatore” Chávez, in un’intervista a Daniele Mastrogiacomo pubblicata su Repubblica di mercoledì, sia stato chiarissimo:

“[Con Teheran abbiamo] rapporti economici e scientifici. I dirigenti della repubblica islamica dell’Iran sono interessati a studiare il nostro sistema di produzione del polietilene. Ci forniscono la tecnologia. Ma sono sicuro che qualcuno speculerà anche su questa visita. Lo vede quel silos? Servirà ad aumentare l’estrazione del gas e alla sua trasformazione. Ebbene: diranno che si tratta della bomba nucleare, che stiamo complottando con l’Iran per minacciare il mondo”.

Se non fossero in malafede gli opinionisti mainstream non starebbero neanche a discutere sulla banalità che due dei più grandi produttori di petrolio abbiano interessi economici in comune ineludibili e che, se entrambi sono minacciati di apocalisse dalla più grande potenza militare del pianeta è fatale che si avvicinino, pur nella distanza ideologica siderale che divide il talebano antisemita dal negraccio dell’Orinoco.

Un peccato davvero dover dedicare tanto spazio alle tonache dei monaci per il Corriere della Sera, invece di sguinzagliare Battista o simili nella caccia a Chávez. Ed infatti il Corriere non spreca l’occasione per attaccare Chávez. Nell’edizione di stamane si può leggere un’editoriale firmato Alessandro Piperno che esprime la balzana tesi che il grasso indio di Sabaneta priverebbe i giovani europei della possibilità di avere come idoli i monaci buddisti… Ma vi rendete conto?