- Gennaro Carotenuto - https://www.gennarocarotenuto.it -

ETA e Hugo Chávez. Quello che i giornali non dicono

ETA [1] In Italia la polemica non ha attecchito. Troppo complicata da spiegare (o da capire?) per i prodi corrispondenti dall’America latina dei nostri grandi giornali la storia delle complicate relazioni tra ETA e FARC e le questioni connesse al diritto d’asilo. Eppure in Spagna e nell’area grancolombiana non si parla d’altro da due settimane e perfino il presidente colombiano Álvaro Uribe (sic!) ha dovuto stoppare Mariano Rajoy (il successore di José María Aznar alla guida del PP) che era andato a Bogotà praticamente per dichiarare guerra al Venezuela (pensando di poter utilizzare l’ex colonia per fare propaganda interna). Rajoy, dopo essersi visto a Palazzo Nariño con Uribe si è visto costretto ad abbassare i toni con la coda tra le gambe e si è ulteriormente coperto di vergogna nel suo appoggio incondizionato ad Uribe, sostenendo pubblicamente che in Colombia non si violano i diritti umani.

La storia è quella del giudice Eloy Velasco, un magistrato spagnolo molto di destra, che, in una sentenza che si riferiva ad un caso di collaborazione tra ETA basca e FARC colombiane, buttava lì due righe che testualmente dicevano “è chiara la collaborazione del governo venezuelano con queste due organizzazioni terroriste”. Tutto lì, senza alcuna spiegazione, documento, prova. Una goccia di veleno e null’altro buttata fuori dal calamaio, con l’aiuto del computer magico di Raúl Reyes (il dirigente delle FARC ucciso in Ecuador) ma sufficiente per far riempire paginoni a Madrid: Chávez protegge l’ETA.

Al di là della totale mancanza di prove, e del fatto che non si capisca neanche di cosa si accusi il governo venezuelano in concreto, va raccontata una storia un po’ diversa. Ha a che vedere con la “dottrina Mitterand” che, nel caso dell’ETA, non concedeva l’estradizione in Spagna ma, invece di concedere l’asilo a Parigi (come accadeva per i brigatisti italiani) preferiva indirizzarli in America latina. Mete preferite per l’asilo erano il Messico priista e il Venezuela di Carlos Andrés Pérez (proprio lui!) ma etarras finirono negli ultimi trent’anni un po’ ovunque, dalla Colombia a Panama all’Uruguay.

In America qualcuno si eclissò, qualcuno fece politica, a volte armata come nel caso delle FARC, in qualche caso finì in contesti criminali, ma in generale pochi governi risposero alla richiesta d’estradizione spagnola. Restando in Venezuela il quotidiano della destra monarchica spagnola ABC fin dalla fine degli anni ‘80 ha continuamente denunciato la presenza di militanti e dirigenti dell’ETA a Caracas arrivando a fornire perfino gli indirizzi di alcuni di loro. Nulla successe, anzi Carlos Andrés Pérez (destituito poi per corruzione, ma soprattutto autore del massacro del Caracazo e oggi, quasi 90enne, eroe della stampa di destra antichavista a partire da El País di Madrid) si adoperò come poté per rendere comodo il soggiorno ai membri dell’ETA. In un caso tre deputati di AD (il partito socialdemocratico di CAP) fecero scudo col loro corpo per impedire che la polizia eseguisse un mandato di cattura nei confronti della moglie di un militante dell’ETA che non si era presentata al controllo mensile al quale era sottoposta. Avete mai letto voi articoli nei quali si accusa Pérez di essere un terrorista? Complice dell’ETA? Io no.

La situazione si modifica con Chávez. Si modifica in entrambi i sensi. Da una parte la retorica rivoluzionaria chavista presta il fianco a qualunque tipo di accusa. Ricordate la ridicola mappa di Lucio Caracciolo su Limes con l’America latina dipinta di verde perché oramai, per colpa di Chávez, messa nelle mani di Al Qaeda? Ricordate il computer magico di Raúl Reyes? Per i media mainstream Chávez può essere accusato impunemente di qualunque misfatto, compreso, come Ugo Togliazzi, di essere il capo delle Brigate Rosse.

La verità è che il governo bolivariano collabora con la Spagna nell’estradizione dei colpevoli di fatti di sangue. Successe nel caso di Sebastián Etxaniz e Juan Víctor Galarza per l’estradizione in Spagna dei quali la Commissione Interamericana per i diritti umani mise addirittura sotto accusa Chávez per essere stato troppo precipitoso. In un altro caso quattro etarras sul punto di ottenere la cittadinanza se la videro negata, oramai sette anni fa, proprio per venire incontro alle richieste spagnole. Tra il negare la cittadinanza e concedere l’estradizione nel paese dei GAL (gli squadroni della morte del governo socialista spagnolo di Felipe González autori di una quarantina di omicidi) però ce ne corre e nonostante la retorica antiterrorista spagnola preferirebbe deportazioni in massa sul tema la prudenza è necessaria.

Più spinoso, e centrale nella polemica, è il caso di Arturo Cubillas, dirigente di peso dell’ETA e responsabile delle relazioni con le FARC. Cubillas è in Venezuela addirittura dall’89 e il suo asilo fu difeso oltre che da Pérez anche dal democristiano Rafael Caldera. Cubillas è cittadino venezuelano da tempo ed è politica di stato venezuelana da ben prima di Chávez non estradare i cittadini venezuelani, anche se naturalizzati. Oggi ciò è sanzionato dall’art. 69 della Costituzione bolivariana, prima era scritto nel Codice Penale.

Si può accusare Chávez di collaborare con l’ETA e le FARC perché non viola la Costituzione estradando Cubillas? Per alimentare la demonizzazione mediatica di Chávez tutto vale, ma se parliamo seriamente la cosa non sta in piedi.

Insomma Chávez protegge l’ETA? Se mantenere asili politici concessi vent’anni fa vuol dire proteggere l’ETA allora protegge l’ETA. Ma sicuramente nessun governo venezuelano è stato più collaborativo di Chávez con la Spagna e sicuramente lo è ben di più di quanto hanno fatto socialdemocratici e democristiani negli anni ‘80 e ‘90. L’accoglienza pluridecennale venezuelana a un centinaio di militanti dell’ETA, molti dei quali coinvolti in fatti di sangue, fu un favore che il paese sudamericano fece a Francia e Spagna ben prima di Chávez per risolvere uno spinoso caso politico. Non erano gli unici favori che i governi venezuelani facevano. Ben più importanti erano quelli economici che rendevano l’intero territorio nazionale terreno di caccia per le multinazionali spagnole. Oggi, con Chávez queste non possono più fare il bello e cattivo tempo e questo rende furiosi gli spagnoli.

Abbiamo visto in questi anni di tutto da parte della Spagna contro il governo venezuelano democraticamente eletto: dall’appoggio al golpe dell’11 aprile 2002 da parte di José María Aznar (quando verrà processato per terrorismo?) alle poco regali sceneggiate di Juan Carlos incapace di ascoltare civilmente le critiche di presidenti eletti democraticamente, ad una continua, squallida, infondata campagna mediatica di demonizzazione internazionale contro il governo venezuelano che ha pochi precedenti al mondo.

Il balbettio di Mariano Rajoy di ieri a Bogotà testimonia quanto pretestuosi siano gli argomenti iberici nel loro decennale tentativo di isolare ed eliminare con qualunque mezzo il governo democraticamente eletto a Caracas.