Esami di Storia Contemporanea in una qualsiasi Università italiana

Una ragazza fino a quel momento preparata, diciamo da 26-27, non aveva la più pallida idea di cosa fosse l’antisemitismo.


La scorsa sessione l’ho domandato ad altre due studentesse e nessuna delle due ne aveva idea. Ma quelle erano due ventenni zotiche ed incapaci di esprimersi in italiano corrente. Quella di oggi era una signora, classe 1973, non era né impaurita né nervosa, l’esame stava andando bene, parlava correntemente l’italiano -cosa che nelle università di questo paese non sempre succede- e dimostrava una discreta cultura generale. Semplicemente non lo sapeva. Ha vissuto 32 anni in questo pianeta, lavora, è prossima alla laurea e non associa il termine “antisemitismo” alla religione ebraica.


Cerco vanamente di scuotere, nelle poche occasioni che sono date, queste coscienze dal pozzo nero nel quale si sono infilate e sono state infilate dall’impoverimento culturale di questo paese. Cerco di spiegare che non c’è bisogno di studiare cosa sia l’antisemitismo; si dovrebbe sapere e basta. Mi guardano perduti e francamente disinteressati. Cerco di dire che è un dovere civile saperlo e che uno può vivere benissimo senza sapere chi è Crispi o Giolitti o perfino Togliatti ma una persona civile non può essere nata nel ‘900 e non sapere cosa significhi antisemitismo.


Cerco di incoraggiare. Siete giovani e con forza di volontà potete recuperare, leggete, leggete, leggete. Ma sento le mie parole stantie e temo che non penetrino.


Penso che il nostro affanno per il Giorno della Memoria, il nostro crederlo importante sia illusorio e autoreferente in questa società dove il muscolo più usato è il pollice perché serve per mandare SMS. Mi sento vecchio a dirlo e perfino stanco e sono appena all’inizio della mia vita professionale. Penso a quali rischi corre una società dove le parole più importanti della nostra storia stanno perdendo di senso.


Penso all’uso strumentale fatto a volte dallo stato d’Israele dell’accusa di antisemitismo per chi ne critica la politica e penso che un dibattito del genere risulterebbe del tutto incomprensibile a molti studenti. Penso di vivere in una società che ritengo molto complessa e per comprendere la quale mi affanno tutto il giorno e penso sia il mio dovere di intellettuale. Ma penso che forse quello sbagliato sono io e questa è una società fin troppo semplice. Una società dove si può vivere benissimo anche se le parole di Bertold Brecht hanno perso ogni senso:


“Prima sono venuti a prendere gli ebrei, 
ed io non ho alzato la voce 
perché non ero ebreo. 
Poi sono venuti a prendere i comunisti, 
ed io non ho alzato la voce 
perché non ero comunista,  
Poi sono venuti a prendere i sindacalisti, 
ed io non ho alzato la voce
perché non ero sindacalista. 
Poi sono venuti a prendere me, 
ma non era rimasto nessuno 
per alzare la voce in mia difesa.