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Cile, dopo 36 anni i comunisti tornano in parlamento

teillier_fiestabazos [1] Se la Concertazione, dopo il mediocre 29% conquistato da Eduardo Frei, guarda incerta al ballottaggio del 17 gennaio che vede come chiaro favorito il Berlusconi cileno Sebastían Piñera, la sinistra cilena ha qualcosa da festeggiare. Infatti per la prima volta dal ristabilimento della democrazia, la scandalosa Conventio ad excludendum tra destra e centro-sinistra per eliminare qualunque forza alternativa viene rotta.

Il Partito Comunista cileno infatti, perno della coalizione alternativa “Juntos Podemos Más”, imperniata sul PCCh e la Sinistra Cristiana, è riuscito in tre collegi a superare quella soglia altissima di sbarramento collocata da Augusto Pinochet oltre il 20% dei voti e che i governi democratici si erano sempre rifiutati di ritoccare.

In una zona popolare di Santiago Guillermo Teillier (nella foto), presidente del PCCh, è stato eletto con il 33,49%; Lautaro Carmona, segretario generale, è stato eletto a Copiapó con il 28,42% e il difensore dei diritti umani Hugo Gutiérrez ha ottenuto ad Iquique il 30,53% dei voti. Non era mai successo prima.

Non è automatico sommare ai voti ottenuti dal candidato di “Juntos Podemos Más”, Jorge Arrate, il 6.2% dei voti con quelli di Marco Enríquez-Ominami, 20.1%. Ma non si può non notare che oltre un quarto dei voti (quasi due milioni di elettori) sia andato a forze alternative al duopolio destra-centrosinistra. La ritualità democratica cilena, basata sulla rigida esclusione di chi non si riconosce nel modello neoliberale voluto dalla dittatura, nonostante il probabile trionfo di Piñera, comincia a scricchiolare.