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Cile: quanta fretta Don Jorge!

200px-Jorgearrate [1] A urne aperte in Cile continua a stridere il candidato della sinistra radicale Jorge Arrate (nella foto) che ripete ogni volta che può che non vede l’ora di appoggiare Eduardo Frei nel ballottaggio. Per fermare le destre, aggiunge, e meno male.

La vita di Don Jorge è specchiata e non vale la pena personalizzare le accuse o pensare chissà cosa di torbido. Ma dopo che quasi mezzo secolo di militanza nel partito socialista era stata archiviata per criticarlo da sinistra fino a diventare il candidato della coalizione “Juntos Podemos Más” (che comprende il PCCh, gli umanisti e altre forze minori a sinistra della Concertazione), tanta collateralità con l’ex presidente sta spingendo molti cileni di sinistra verso l’astensione. Continua [2]

Sulle elezioni in Cile leggi anche: Elezioni in Cile: Il “cambio” vuol dire un Berlusconi cileno? [3]

E’ un’astensione, che in paese dove il voto è obbligatorio, potrebbe spingersi fino al 20%. Ne scriveranno i giornali di questo quinto di cileni che rifiuta Piñera ma non si sente rappresentato dalla casta politica della quale i tre candidati di centro-sinistra fanno comunque parte? I nostri no di sicuro.

Jorge Arrate intanto ha impostato una campagna peculiare ma tutta interna alla ritualità cilena di partiti che restano quelli pre-muro, pre-dittatura (con diversi rapporti di forza, ovvio), pre-mondo moderno. Da una parte si è fatto il portabandiera di rivendicazioni storiche della sinistra cilena. Tra queste la più importante è la richiesta di un’Assemblea Costituente che superi la Costituzione scritta da Augusto Pinochet. Dall’altra però ha dichiarato sempre e comunque contiguità alla Concertazione, dalla quale era appena uscito, dicendosi in particolare disposto ad appoggiare Frei (del quale fu ministro) nel ballottaggio di gennaio. Tanta vicinanza gli è costata l’appoggio del Partito Umanista (non marginale in Cile e che aveva espresso la candidatura di Tomás Hirsch nel 1999 e nel 2005) che è passato ad appoggiare la candidatura di Marco Enríquez-Ominami. Un bell’autogol visto che quasi tutti i voti per Arrate dovevano venire da comunisti e umanisti.

Ci sta, ci sta beninteso… ci sta il fermare le destre votando al ballottaggio il meno peggio. Ma poteva almeno aspettare il ballottaggio Don Jorge invece di dar così precocemente l’idea di essere solo una stampella alla stanca candidatura di Eduardo Frei. Forse ci sta anche l’evitare di anticipare il “voto utile” al primo turno facendo mostra di pragmatismo. Esprimete il vostro dissenso ora votando per me ma poi a gennaio votiamo insieme, è sembrato dire. L’ultima volta che è successo qualcosa del genere fu in Francia e al ballottaggio invece del socialista Jospin andò il fascista Le Pen.

Non è il caso cileno per fortuna. Ma viene in mente che la fretta di Arrate serva più a puntellare i timori di Frei di perdere il ballottaggio in favore di Enríquez-Ominami che a battere Piñera. Marco non sarà il nuovo che avanza ed è comunque a modo suo interno alla casta che l’astensione vuole punire. Ma non è nemmeno il vecchio rancido dell’usato sicuro di Eduardo Frei o l’orrore che torna di Sebastían Piñera (che chissà perché -giuro, proprio non lo capisco- i nostri media si ostinano a definire “moderato”). Don Jorge, perché tutta questa fretta?