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Argentina, la riforma agraria dell’informazione

091011020443_sp_medios_afp_226x170 [1] A Buenos Aires è stata approvata la Legge sui media che sostituisce quella voluta 30 anni fa dalla dittatura militare. Da domani in Argentina i media saranno distinti tra pubblici, commerciali e partecipativi (ONG, cooperative, università, media comunitari, sindacali, gruppi religiosi, femministi, associazioni, popoli indigeni) e ognuno di questi tre gruppi non potrà avere più di un terzo dello spazio totale. Si mette così un freno alla concentrazione editoriale, ai monopoli dell’informazione e all’occupazione dell’immaginario collettivo da parte del pensiero unico mercatista.

Dall’enunciato stesso della legge si evince la portata del provvedimento: La “legge sui servizi di comunicazione audiovisuale” ha come obbiettivo “democratizzare e universalizzare le nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione; impedire la formazione di monopoli e oligopoli; fomentare la produzione nazionale; propiziare la partecipazione di cooperative, università, popoli originari e organizzazioni senza fine di lucro nei media argentini”.

L’articolo segue nel post dopo alcune prime pagine del “Clarín”.

clarintapa24 [2]Il giorno del golpe, mentre nelle camere di tortura si stuprava e assassinava.

tapa25marz [3]Il giorno dopo: “totale normalità”

[4]

1982, euforia per le Malvinas.

Il Clarín, con una campagna furiosa contro la nuova legge sui media, difende i privilegi che aveva ottenuto dalla dittatura militare, quella dei 30.000 desaparecidos, che appoggiò dal primo all’ultimo giorno.

Buenos Aires è stata approvata la Legge sui media che sostituisce quella voluta 30 anni fa dalla dittatura militare. Da domani in Argentina i media saranno distinti tra pubblici, commerciali e partecipativi (ONG, cooperative, università, media comunitari, sindacali, gruppi religiosi, femministi, associazioni, popoli indigeni) e ognuno di questi tre gruppi non potrà avere più di un terzo dello spazio totale.
Si mette così un freno alla concentrazione editoriale, ai monopoli dell’informazione e all’occupazione dell’immaginario collettivo da parte del pensiero unico mercatista.
Dall’enunciato stesso della legge si evince la portata del provvedimento: La “legge sui servizi di comunicazione audiovisuale” ha come obbiettivo “democratizzare e universalizzare le nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione; impedire la formazione di monopoli e oligopoli; fomentare la produzione nazionale; propiziare la partecipazione di cooperative, università, popoli originari e organizzazioni senza fine di lucro nei media argentini”.
Fortemente voluta dal governo, la Legge è un trionfo anche numerico per i Kirchner (44 voti contro 22 in Senato). Questi intercettano voti dall’opposizione e riprendono una linea marcatamente riformista dopo un lungo periodo di grigiore e sconfitte. Inoltre l’Argentina, come altri paesi integrazionisti latinoamericani dal Brasile al Venezuela, dall’Ecuador alla Bolivia, lancia un segnale al mondo intero.
Tenta infatti di dar risposte a domande che in altri paesi, il Messico e l’Italia in primo luogo, paesi dove la concentrazione è ancor più intollerabile di quella argentina, non è ammesso neanche porsi. La concentrazione editoriale è nell’interesse pubblico? L’informazione può essere solo commerciale e solo mainstream? Quanto devono durare licenze e concessioni? Lo stare sul mercato garantisce davvero l’indipendenza dei media? Il mercato da solo è in grado di regolare un settore, quello mediatico, dal quale dipende la formazione dell’opinione pubblica, ovvero la democrazia stessa? Soprattutto, i media commerciali sono in grado di rappresentare da soli la società?
La legge argentina, approvata dopo tre mesi di battaglia parlamentare (ne abbiamo dato conto nel “Latinoamerica” n. 108), riconosce che è interesse della società limitare la concentrazione editoriale, deframmentare i media e aumentare il pluralismo diluendo l’omologazione dei media commerciali e il potere dei latifondi mediatici. Questi, ovviamente, (il Grupo Clarín in Argentina, ma potrebbe essere Televisa in Messico, Mediaset in Italia oppure il Grupo Prisa in Spagna) aborriscono la nuova legge, e tentano di stravolgerne il senso spacciandola come censura. Dalla loro hanno il complesso mediatico-industriale mondiale che infatti batte all’unisono demonizzando la nuova legge.
La realtà è che da domani, e con gradualità nei prossimi tre anni, se la riforma non sarà vanificata, l’Argentina andrà costituendo un sistema mediatico pluralista, dove tale pluralismo non sarà più garantito dal pensiero unico del mercato e dalle corporazioni mediatiche ma dai cittadini stessi. Come detto, lo spazio mediatico sarà diviso in tre e i media commerciali non ne potranno continuare ad occupare più di un terzo. Non solo: si dividerà chi produce contenuti da chi li veicola. Chi vorrà continuare a stare sul mercato ricchissimo della televisione via cavo, capillarmente diffuso, dovrà vendere i canali che eventualmente possiede. Almeno due dei cinque canali televisivi nazionali saranno messi sul mercato e andranno a soggetti diversi dagli attuali proprietari. Inoltre nessun soggetto potrà possedere più di dieci media (giornali, radio, tivù), nazionali o locali. Infine le licenze dureranno dieci anni, proiettando l’Argentina in un nuovo mondo nel quale le frequenze non vengano più assegnate di fatto in eterno a soggetti privati com’è tuttora in paesi come il Messico o l’Italia. L’idea è che nel corso del tempo possa ridisegnarsi l’immaginario collettivo oggi monopolizzato dal pensiero unico mercatista e consumista. Come ha detto il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel “finalmente in Argentina si sradicheranno i monopoli perché o si mette davvero fine ai monopoli oppure non cambierà mai nulla”. Non sarà facile ed evidentemente il cambiamento sarà segnato da contraddizioni, ma da qualche parte si dovrà pur iniziare.