Dal Piano Condor ad Abu Grahib – Tutto conosciuto, tutto già visto

NON c’è nulla, veramente nulla, di quello che sta appena iniziando a circolare sull’Iraq che non sia stato già visto. Non c’è nulla che non sia stato studiato da chi si occupa del sistema di violazioni di massa dei diritti umani concepito ed esportato dagli Stati Uniti soprattutto in America Latina nell’età che va tra la rivoluzione cubana ed il reaganismo per l’imposizione del quale quel genocidio fu funzionale.

Forse in via Tasso, i francesi in Algeria, i sovietici, i cinesi, Menghistu, Saddam Hussein torturavano diversamente. Forse più artigianalmente, altrettanto orribilmente. Ma sulle torture irachene c’è il marchio di fabbrica della scuola statunitense, l’industrializzazione della tortura, lo stile della Scuola delle Americhe di Fort Benning. Lì quelle tecniche vengono insegnate da decenni a decine di migliaia di torturatori di decine di paesi. È sorprendente come nel fiume di commenti di questi giorni il Piano Condor, il piano statunitense di distruzione della democrazia in America latina attraverso la tortura di massa, il terrorismo di stato, l’assassinio e la sparizione di persone venga lasciato così in ombra. Terrorismo di stato e crimini di guerra si mescolano. Nei rapporti che stiamo leggendo si evince che fino al 90% dei prigionieri iracheni non ha rapporti con la resistenza. Allo stesso modo appena il 5% dei 30.000 desaparecidos argentini faceva parte di una sempre debole guerriglia.

Ogni tecnica svelata oggi, con ipocrita sorpresa, è già stata descritta nei vari Nunca más. “Mai più” e invece serve ancora. Tutto è già conservato negli archivi della memoria, decine di migliaia di testimonianze, tutto è nelle carte degli archivi del piano Condor. Tutti i dettagli sono già noti, dall’uso dei cani, allo stupro, alle tecniche di rastrellamento di civili e familiari di ricercati. È evidente che i torturatori in Iraq hanno studiato sugli stessi manuali sui quali studiarono gli Astiz o i Krassnoff.

Ogni tortura, ogni tecnica, ogni umiliazione che oggi viene presentata come episodica, invece non è mai lasciata all’inventiva sadica di ragazzotti dell’Ovest Virginia o del Sud Carolina o del Leicestershire. È studiata a tavolino, programmata, testata da menti criminali con molte stellette sulle spalline, da equipe mediche in grado di misurare il dolore fino all’abisso ma senza causare la morte, da psicologi raffinatissimi in grado di misurare il livello dell’umiliazione. I medici sono sempre presenti nelle camere di tortura. Fermano la mano un attimo prima del coma e collaborano a rianimare il detenuto per tornare a tormentarlo. Come i cecchini vengono pagati meglio per storpiare piuttosto che uccidere, così la tortura serve a restituire alla società uomini e donne prostrati, terrorizzati e incapaci di agire politicamente. Per tutta la vita.

Chi ha provato orrore per gli stupri etnici in Bosnia consideri che anche la violenza sessuale nella scuola di tortura statunitense non è lasciato al caso. Il militare non ha diritto di violentare per raptus come un lanzichenecco. Lo stupro è parte di un trattamento programmato e personalizzato. Ad altri toccano i cani o la corrente elettrica. Laura Aranguiz aveva 17 anni. Era solo un’adolescente di paese quando fu stuprata scientificamente nello Stadio Nazionale di Santiago dai tagliagole di Augusto Pinochet addestrati a Fort Benning. Né prima né dopo avrebbe più avuto rapporti sessuali né vita sentimentale ed è tuttora in trattamento psichiatrico.

A volte basta umiliare per un solo minuto una persona per distruggerla per sempre. Successe così ad un architetto cileno appena simpatizzante di Salvador Allende. Entrarono in casa e fu fatto denudare davanti ai sei figli. Non gli fu torto un capello ma il giorno dopo era precocemente imbiancato, non avrebbe più pronunciato verbo e mai più sarebbe tornato al suo paese.

Il ferire la mente più che il corpo non comporta grossi investimenti in innovazione per l’industria della tortura. Il ricatto e le lusinghe sono parte del gioco. In Iraq sono già stati resi noti episodi simili a quanto raccontato da Mario Villani, un fisico torturato all’ESMA dai marinai argentini. Fu fatto lavare e sbarbare dai suoi carnefici ed andarono a cena tutti insieme in un buon ristorante di Buenos Aires. Parlarono di calcio e di vacanze ma dopo cena gli stessi commensali tornarono a legarlo alla macchina. Dan Mitrione, il docente di tecniche di tortura che lavorava per la CIA in Centro America, in Brasile e infine in Uruguay, prima di essere giustiziato dai Tupamaros nel 1972, rivendicava la propria scienza: “fai sedere un uomo sulla più comoda poltrona del mondo. Non toccarlo ma obbligalo a non alzarsi. Impazzirà”. Chi scrive ha raccolto centinaia di testimonianze di vittime di tortura. Quasi tutti preferiscono essere picchiati selvaggiamente all’essere tenuti in piedi per giorni e giorni come avviene in Iraq o a Guantanamo. Tutti, nessuno escluso, affermano di temere la tortura più che la morte. La morte è un attimo, la tortura è per sempre.

Qualcuno si stupisce, qualcuno si addolora che per la prima volta perfino gli Stati Uniti siano stati coinvolti in tali aberrazioni. Altri -giorno dopo giorno sempre più giustificazionisti- si rallegrano ché la forza di una democrazia starà nel fare piazza pulita di poche mele marce. Tutto serve a non vedere e negare il sistema, l’arcipelago tortura come strumento di dominio, attraverso ascari come Videla o Ríos Montt o Suharto oppure direttamente come in Somalia o in Nicaragua ed oggi da Mazar i Sharif ad Abu Grahib o in quel gulag tropicale che è Guantanamo.

E la diffusione di foto non è trasparenza. Nell’era delle parabole sarebbe potenza di Internet e della tecnologia digitale se non vi fosse un altro elemento che resta oscurato. La forza è potere, il terrore è strumento di potere. Più posso incutere timore meno opposizione avrò. Non si può non notare che tutte le immagini note sono di fonte governo statunitense. Ci si dice che vengono filtrate perché comunque sarebbero presto rese pubbliche ma la sostanza resta: gli scatti finora noti sono stati tutti scelti dal Pentagono. Come in America Latina dove all’interno del Piano Condor la sparizione di persone fu teorizzata come terrore permanente, anche in Iraq l’esposizione del tormento è parte del tormento ed ammonimento futuro. Alla vista dei corpi, nella coscienza di ogni irakeno prevarrà l’indignazione o la paura? Li farà sollevare o prostrare? Ci si può domandare se lo scandalo internazionale nella mente dei neocons non sia un prezzo lucidamente o disperatamente pagato. Dalle nostre città possiamo permetterci l’indignazione, ma chi vive sotto l’occupazione, dopo l’indignazione deve fare una scelta personale e mettere a rischio la propria vita o scegliere di non metterla.

Forse oggi in via Tasso perfino Herbert Kappler terrebbe breafing quotidiani con la stampa. Può stupire allora – in questa storia lo stupore è particolarmente farisaico- che gli Stati Uniti non abbiano ratificato lo Statuto del Tribunale Penale Internazionale e che quindi da George W. Bush giù giù fino alla signorina Lynndie England nessuno sia perseguibile come criminale di guerra?