25 aprile: e invece dovremmo elogiarla Letizia Moratti

Alla vigilia della festa della Liberazione, Silvio Berlusconi ha ribadito perché si astiene da sempre dal partecipare alle celebrazioni del 25 aprile: “ne è stata fatta una festa di parte”. Berlusconi ha per un terzo ragione e per due terzi torto.

Ha ragione perché è vero che soprattutto il 25 aprile 1994, fondativo del nuovo regime, la festa della Liberazione fu trasformata in una giornata contro Berlusconi che aveva appena formato il suo primo governo. A posteriori, nonostante fosse difficile fare diversamente, va detto che la sinistra torse il braccio al significato del 25 aprile.

Ha torto una prima volta Berlusconi perché fu lui a portare fascisti -allora per niente rinnovati- al governo, ad usare in maniera scellerata l’equazione resistenza-comunismo e favorire un uso pubblico della storia fatto di tutte le più inconsistenti vulgate antiresistenziali.

E l’ademocratico Berlusconi ha due volte torto perché, come capo del governo, rinunciò a difendere la continuità di valori tra cosiddette I e II Repubblica ed il suo buon diritto, in quanto capo del governo e in quanto parlamentare, a partecipare alla festa del 25 aprile.

E’ difficile dire se poteva andare diversamente, soprattutto a metà degli anni ’90. Ma è necessario prendere atto che, se è vero che il 25 aprile è irrinunciabile come valore fondativo della nostra democrazia, è ineludibile un processo di ricooptazione di un arco costituzionale ampio intorno ai valori dell’antifascismo che il 25 aprile, la guerra di Liberazione, i Partigiani, la Resistenza, rappresentano nella forma più alta. Più ampio dell’attuale.

Certo, sarà difficile riportare ai valori dell’antifascismo un analfabeta politico come il segretario dell’UDC Lorenzo Cesa (che i nostri smaniano di cooptare perfino nel PD), che non trova di meglio che chiosare la Liberazione con un sibillino “il comunismo ha fatto più morti del nazifascismo”. E irredimibile è il vero mostro Aldo Forbice che iersera a Zapping discettava e faceva (sic!) discettare i suoi sempre più lugubri ospiti sui partigiani comunisti che erano antidemocratici né più né meno dei fascisti, perché sognavano la rivoluzione. Come se sognare la rivoluzione non fosse un diritto, ma soprattutto facendo (in malafede assoluta) finta che la svolta di Salerno non fosse stata addirittura precondizione alla guerra di Liberazione. Vergogna!

Ma, se ha ragione il sondaggio de La7, per il quale il 91% degli italiani percepisce il 25 aprile come una festa di parte, diviene impossibile pretendere una celebrazione condivisa se la sinistra la considera una propria festa privata e la destra ha ragione di sentirsi non invitata. Non si può trascurare il pericolo sotteso dietro questa lettura. Se la sinistra considera l’antifascismo come una propria esclusiva identitaria, abbandonerà chi non è di sinistra nelle mani dei Giampaolo Pansa, degli Aldo Forbice, dei Mario Cervi o alla scelleratezza di Luciano Violante e dei suoi “ragazzi di Salò”.

Infatti, se il 25 aprile la sinistra continua a cantarsela e suonarsela tra sé, beandosi della propria durezza e purezza, quella che è a rischio è l’indispensabile funzione didascalica del “monumento 25 aprile” che continuerà ad essere imbrattato da opposte fazioni e sarà sempre più sfuggente da comprendere per i giovani, nelle scuole e nelle università. Se il 25 aprile continua ad essere concepito come una festa escludente della destra attuale, nulla impedirà ai giovani non di sinistra di non riconoscersi nei valori dell’antifascismo. Certo, ciò avviene soprattutto per l’incultura politica della destra e per la dilagante alienità alla storia dell’intera opinione pubblica, ma è indispensabile affermare che il nemico prevalente non è che i giovani votino per Silvio Berlusconi o per Gianfranco Fini, ma che i giovani, anche quelli che non votano a sinistra, non si sentano antifascisti.

Forse tarderemo un altro secolo nel trasformare il 25 aprile nel nostro 14 luglio, dove le messe dei legittimisti per Luigi XVI sono solo curiosità e folklore senza alcun seguito, ma per quanto difficile appaia, non possiamo abdicare dalla costruzione di un 25 aprile inclusivo e non escludente se non del fascismo.

In questo senso è stato opportuno il viaggio a Cefalonia del presidente Giorgio Napolitano. Ogni atto che ricostruisca nell’opinione pubblica un’idea articolata della Resistenza è utile. Ed è da elogiare la pervicacia con la quale la sindaca di Milano Letizia Moratti si ostina a voler partecipare. Che poi, come fa notare Gabriele Polo, non conosca la grammatica e scambi una conquista per un dono, poco importa. Solo nel rispetto di una diversità includente il 25 aprile potrà continuare ad assolvere alla sua funzione monumentale nel nome della nostra democrazia e dell’antifascismo.