Gianni Minà nell’Olimpo dei documentaristi

Gianni Minà ha ottenuto il più prestigioso premio al mondo per documentaristi. E’ il Premio Kamera della mostra del cinema di Berlino, la Berlinale, assegnato alla carriera. Sfottendo e tergiversando fin dal titolo, “Minà, da Fiorello al tappeto rosso” perfino la Repubblica mastica amaro ma è stata costretta a scriverne e per una volta la pubblichiamo. Grossolani, ignoranti, Latinoamerica lo fanno diventare Latinoamericana, ma non importa, è una bella pena del contrappasso per Omero Ciai, Alessandro Oppes e compagnia che lo denigrano e diffamano ogni volta che possono.

LA REPUBBLICA – Berlinale, al giornalista il riconoscimento alla carriera per i documentari
“Bella soddisfazione, considerato che la Rai, da anni, mi ha messo in esilio

Minà, da Fiorello al tappeto rosso
“Berlino mi premia, l’Italia mi ignora”

ROMA – Non sapeva, Fiorello, che quando imitava Gianni Minà che “gioca a scopetta” con Fidel all’Avana stava solo raccontando la verità. Pensava di fare parodia, faceva cronaca. Meglio, faceva storia, quella che Minà racconta con le sue interviste a personaggi come Castro, Mohammed Ali, Marcos, e le storie che si fa raccontare in giro per il mondo dai protagonisti dei fatti. “Poi, a Fiorello ho portato una foto fatta anni fa in un ristorante a Roma, siamo io, Gabriel Garcia Marquez, Sergio Leone, Cassius Clay e Robert De Niro”, dice il giornalista da Berlino dove ha ricevuto il Premio Kamera alla carriera per i documentari. Si è emozionato, “il tappeto rosso, io e mia moglie con i flash sulla faccia e il direttore della Berlinale, Dieter Kosslick, che ci accoglie”. Una soddisfazione “profonda” dice, “considerata l’esclusione, da anni, dalla Rai, con la quale ho iniziato a collaborare nel 1959 e che, con una cinquantina di persone, ho contribuito a lanciare”.

Giornalista, scrittore, autore, conduttore, documentarista. Difficile tracciare i contorni di Minà. Ha seguito otto Mondiali di calcio, sette Olimpiadi, decine di campionati di boxe, è stato tra i fondatori di L’altra domenica, ha lavorato al Tg2 di Andrea Barbato, ha lavorato con Giovanni Minoli a Mixer, è stato autore (e conduttore) di Blitz e di tanti programmi, da Alta classe a Zona Cesarini a Storie, dirige la rivista Latinoamericana e la collana “Continente Desaparecido” della Sperling&Kupfer e ha pubblicato oltre una dozzina di libri.

Poi ci sono i documentari. Come In viaggio con Che Guevara (costola del film I diari della mototicletta alla cui realizzazione ha collaborato: a Berlino è stato proprio il regista, Walter Salles, a consegnargli il premio), presentato al Sundance, ai festival di Annecy, Morelia, Valladolid, Belgrado e vincitore a Montreal nel 2005, oltre a un Nastro d’argento in Italia. Il premio a Berlino “ha toccato il mio vecchio cuore romantico – dice – ma anche il mercato mi dà ragione. I dvd Maradona: “Non sarò mai un uomo comune”, realizzati con RaiTrade e Gazzetta dello sport, hanno venduto 600 mila copie, un record. L’impegno riscuote la fiducia della gente. Qui, ad esempio, non si racconta solo la vita di un calciatore ma l’epoca d’oro del calcio italiano, Zico, Platini, Rumenigge. E’ Storia”.

La fiducia del pubblico ma non quella della tv italiana. Se chiedi a Minà i motivi dell'”esilio” ti dice che “parte della sinistra ha la stessa mentalità della destra, teme l’indipendenza intellettuale. Secondo alcuni, il mondo va raccontato in un modo e basta, invece le interpretazioni sono mille”. Non gli va ancora giù il giudizio che circolava a viale Mazzini, “ingovernabile, persona non gradita”: “Chissà poi a chi dovevo essere gradito. Era il 1994, Berlusconi si impossessò della tv, Letizia Moratti non mi rinnovò il contratto. Solo Freccero mi diede fiducia, feci Storie, a mezzanotte, pagato a prestazione. E più niente”.

Vero è che Minà ha fatto cose che alcuni umani non potrebbero nemmeno immaginare. Tipo essere “una delle cinque persone al mondo che hanno fatto un libro su e con Castro” e quell’intervista, sedici ore, “l’unica volta in cui Fidel ha raccontato il Che, non l’aveva mai fatto prima e non l’ha più fatto dopo”. Ci sono le interviste al Nobel per la Pace Rigoberta Menchu (Storia di Rigoberta), al subcomandante Marcos (Marcos e la rivolta dei Maya in Chiapas e Marcos: aquì estamos), a Cassius Clay, che poi è amico suo.

Amareggiato, sì, per il trattamento che la Rai gli ha riservato, “ma di quel che fa la tv italiana non m’importa, mi muovo in proprio e ho la mia distribuzione”. Che poi sarebbe Adriana Chiesa, vedova del grande Carlo Di Palma, che “mi ha convinto a investire per trasferire i mei documentari dai vecchi formati al digitale e attualizzarli, un lavorone – spiega Minà – che ora mi permette di veicolare i dvd nel circuito dell’informazione mondiale”.

E se RaiTrade l’ha contattato per l’iniziativa editoriale su Maradona “è solo perché i documentari sono di mia proprietà, non potevano fare altro. Certo, li ringrazio, ma, mi dico, in un altro Paese mi avrebbero dato la direzione, che so, del settore documentari. Invece, se fosse per loro non lavorerei più da dieci anni”. Invece lavora già a un nuovo progetto: “Un ciclo di documentari sui capi di Stato che stanno cambiando l’America Latina, da Lula a Chavez, dalla Bachelet a Morales. Alcuni di loro, poi sono anche miei amici personali…”. E poi, vai a dire che Fiorello non ha ragione.
Alessandra Vitali
(12 febbraio 2007)


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