Brasile: così privatizzavamo

La notizia di oggi è che lo stato brasiliano potrebbe esigere dalla privatizzata "Companhia Vale do Rio Doce" la restituzione di circa 33 miliardi di Reais, circa 11 miliardi di Euro. Sarebbe ancora un accomodamento estremamente favorevole per quella che passerà alla storia come la madre di tutte le rapine (privatizzazioni) e che potrebbe portare in carcere per alto tradimento l’ex presidente fondomonetarista Fernando Henrique Cardoso.

Il nome "Vale do Rio Doce" non dice molto al pubblico europeo. Ma è la prima produttrice mondiale di ferro del pianeta e la prima di bauxite in America Latina, minerale del quale possiede l’11% delle riserve al mondo. Solo le riserve di ferro si calcola che dureranno per altri 400 anni e con Petrobras ed Embraer è tra le prime tre imprese esportatrici del Brasile, tutte privatizzate in epoca fondomonetarista. L’impresa privata, che ha fatto propria la concessione statale, è proprietaria di fatto di tutto il sottosuolo brasiliano e controlla tra le maggiori riserve del pianeta di ferro, alluminio, oro e altri minerali. E’ attiva in 19 stati, possiede 9.000 km. di ferrovie e controlla ben dieci porti movimentandovi il 39% del commercio estero del Brasile. E’ nella sostanza la terza impresa mineraria di tutto il pianeta.

LA MADRE DI TUTTE LE PRIVATIZZAZIONI (E TANGENTI?) Fernando Henrique Cardoso l’ex presidente fondomonetarista del Brasile, volle fortemente quella privatizzazione nel 1997. La "Vale do Rio Doce", nel 1996, aveva dato allo stato brasiliano utili netti per 6 miliardi di Reais, circa 2 miliardi di Euro, e gli utili erano in costante crescita ad una media del 13% l’anno. Era ed è l’impresa più redditizia di tutto il Brasile. Fu privatizzata per la cifra d’affezione di 3,4 miliardi, poco più di 1.1 miliardi di Euro che, secondo la deputata Socorro Gomes del PCdoB-PA, è il valore appena della flotta mercantile dell’impresa.

La compagnia, a seconda delle diverse stime, valeva in realtà tra le undici e le cento volte il valore stimato all’epoca, ovvero fino a più di cento miliardi di Euro. Per quella privatizzazione Fernando Henrique Cardoso ricevette il plauso dei grandi organismi internazionali, l’FMI, la Banca Mondiale e di tutta la stampa e comunità finanziaria brasiliana e internazionale. L’Economist -che non più tardi di ieri l’incombente prossimo direttore del TG1 Rai in quota centrosinistra, Gianni Riotta, ha definito il miglior giornale del mondo- si spellò le mani. Quei soldi -neanche quel miliardo e spiccioli- non arrivarono mai in Brasile. Come decise il Fondo Monetario Internazionale, e Fernando Henrique non battè ciglio, restarono a Nuova York e servirono a pagare poche settimane di interessi sul debito estero.

Della privatizzazione, neanche a dirlo si beneficiarono i soliti nomi che girano intorno al Fondo Monetario Internazionale, gruppi stranieri come Merril Lynch, Pierce, Fenner & Smith Incorporated, Rothschild & Sons Limited, Bradesco, kpmg Peat, Marwick Consultores e Banco Graphus. L’audace colpo dei soliti noti.

Come fu fissato un prezzo così favorevole da far parlare oggi di alto tradimento? Il governo brasiliano dell’epoca, fece fare le valutazioni, si può leggere oggi tra l’altro nella stampa carioca alle stesse imprese, Merryl Lynch e MRDI tra le altre, che poi fecero parte del gruppo che acquistò la "Vale do Rio Doce". Il lupo a guardia delle pecore. Sembra uno scherzo, ma così si facevano le privatizzazioni in America Latina negli anni ’90 e i Cardoso, i Menem erano considerati allievi modello. Per esempio a Corumbá, nello stato del Mato Grosso do Sul, nella miniera di manganese di Urucum, una tonnellata di manganese fu valutata 0,80 dollari contro un valore reale di mercato di 80 dollari. Appena l’1%.

Da mesi, ne scriveva Mário Augusto Jakobskind in Brecha del 24 agosto, un’importante campagna per la rinazionalizzazione della "Vale do Rio Doce", chiede l’annullamento della privatizzazione stessa e il castigo per i responsabili, a partire da Fernando Henrique Cardoso, accusato di alto tradimento. La campagna è scientificamente boicottata da quegli stessi media commerciali che applaudirono la privatizzazione, ma ha ottenuto un primo successo il 16 dicembre 2005 quando il Tribunale Federale Regionale di Brasilia ha dichiarato nulla la privatizzazione. E’ solo il primo passo di una battaglia legale che si preannuncia infinita e nella quale il governo Lula brilla finora per la prudenza. Al momento ci sono almeno 68 cause giudiziarie aperte in tutto il paese per l’annullamento della privatizzazione e, secondo un sondaggio realizzato dall’Istituto statunitense Ipsos pubblicato dal quotidiano "O Estado de São Paulo", il 60% dei brasiliani è favorevole a che tutte le risorse naturali del paesi siano di proprietà pubblica.


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