L’Aquila, è crollato l’ospedale modello inaugurato nel 2000

di MASSIMO LUGLI

E per l'ospedale modello è beffa "Inaugurato nel 2000 è già crollato"

L’AQUILA – Letti e barelle allineati davanti al muro del pronto soccorso, i pazienti più anziani ammassati nella cappella di Sant’Alessio come un lazzaretto, un vai e vieni incessante di ambulanze che arrivano e ripartono a sirena spiegata, l’elicottero a volo radente, i medici esausti, la riserva di farmaci che cala di ora in ora, l’obitorio pieno di corpi che non trovano più spazio. L’ospedale di San Salvatore, a circa 4 chilometri dalla città, su una strada perennemente ingolfata di traffico, è un quadro che riassume tutta la tragedia abruzzese: dolore e rassegnazione, dignità e lacrime di speranze e slanci di quotidiano eroismo.

Inaugurato 9 anni fa il nosocomio in cemento armato di concezione modernissima ha pagato un tributo pesantissimo alla scossa delle 3.32: un’intera ala è crollata, una larga fetta dell’edificio è inagibile, nastri bianchi e rossi sbarrano la strada quasi ovunque. "Ci sono arrivati 460 pazienti, li stiamo smistando in ambulanza o elicottero, negli ospedali di Avezzano, Pescara, Teramo. Ancona – spiega un chirurgo, Antonio Famulari – ma spesso li mandiamo anche più lontani, in altre regioni". Come il bambino di un anno, gravissimo, trasportato in volo al Bambin Gesù di Roma. L’evacuazione è finita verso le 18.30, mentre la protezione civile completava l’allestimento di un ospedale da campo nel piazzale di fronte. Per i pazienti rimasti per ore sotto il sole implacabile, con una protezione di teli o di cartoni e spesso la flebo al braccio, è stata la fine di una tortura sopportata, quasi sempre, con incredibile forza d’animo.
"Molti di noi sono corsi qui anche se hanno perso la casa e a volte i parenti – spiega senza enfasi il dottor Maurizio Maltolto, uno psichiatra che si è improvvisato medico di prima emergenza e che fin dalla notte si è dato da fare con garze, disinfettanti, flebo – io ho salvato mia nonna di 94 anni, ho lasciato la mia casa lesionata e sono corso qui. Bisogna fare in fretta perché le medicine scarseggiano, manca praticamente di tutto".

Molti dei ricoverati sono stati presi dal panico quando la scossa di terremoto ha squassato i reparti. "Avevo partorito con un cesareo alle 19.30 e quando ho sentito il terremoto sono scappata con i punti, la flebo attaccata e senza scarpe, mia madre e la bambina – racconterà nel pomeriggio Antonella Ghisleri, 28 anni – mio marito ci ha caricati in macchina e ci ha portati a Teramo… La flebo me l’ha staccata lungo la strada. Che dovevo fare? Fuggivano tutti, anche i medici". Molti pazienti anziani e cardiopatici sono strati costretti a sistemazioni di emergenza mentre l’unica sala operatoria agibile, quella del reparto di ginecologia, lavorava senza un attimo di sosta.
"I medici sono degli angeli, non si sono concessi un istante di riposo da stanotte – dice Stefania 42 anni, il viso ridotto a una maschera di tagli e contusioni mentre accarezza con dolcezza infinita la figlia, Sara Luce, 7 anni – eravamo a casa e siamo rimasti intrappolati al terzo piano. Mio marito Carlo si è rotto parecchie costole e ha una ferita alla testa, lo portano a Teramo, alcuni vicini hanno rischiato la vita per salvarci e poi ci hanno trasportati qui in macchina, nonostante la calca, la confusione, i disagi, sono stata accudiata e curata benissimo".
Privo di vista, malato di Parkinson e colite ulcerosa, sistemato su una brandina nella cappella, Angelo Ascaride, 85 anni, non mostra la stessa gratitudine e riesce solo a lamentarsi debolmente: "Non so quanto mi terranno qui, non so cosa sta succedendo". Un frate con una lunga barba bianca, Luciano Antonelli, si aggira tra i pazienti distribuendo buffetti, carezze, parole di conforto. Ricetrasmittente e cellulare in mano, Fiorenzo Rasone, capo dell Protezione civile della Marche, coordina l’evacuazione dei pazienti, l’arrivo e il decollo degli elicotteri e degli aerei come un generale sul campo di battaglia.
Il cielo che si rannuvola velocemente impone di fare sempre più in fretta. "Ero alla casa dello studente, non mi sono accorto del terremoto – dice Pancrazio Capoccia, 20 anni – un ragazzo magro dei capelli ricci – Sono svenuto e so che mi hanno tirato fuori dopo 8 ore. Ho avuto una fortuna incredibile, niente di rotto e tra poco torno a casa". Anche Delfina Achille, 83 anni, l’ha scampata. Ha un braccio rotto e il viso irriconoscibile. "Mi è crollato il soffitto addosso – geme disperata – sono rimasta coperta dai detriti. Sì, sono viva e ringrazio Dio. Ma quando esco, che faccio? Dove vado?"

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