Rina Gagliardi: una lista dei senza partito

Ho trovato affascinante la provocazione di Gabriele Polo che, in sostanza, per le elezioni europee propone alle sinistre una scelta nonviolenta – un digiuno di protesta, un’ascesi, un Ramadan laico. Una parte di me pensa, con il direttore del manifesto, che a questa sinistra – in crisi pressoché agonica eppur malata di istituzionalismo – non potrebbe che far bene questa ulteriore «purificazione» per riflettere e magari ricominciare a pensare in grande. L’altra parte di me, però, non può non vedere che, ove la proposta fosse applicata alla lettera, produrrebbe alcuni effetti alquanto deleteri: non solo la soddisfazione di Veltroni, non solo e non tanto l’ulteriore boom dipietrista, ma la sepoltura definitiva di ciò che resta della sinistra italiana.

In effetti, se al (mini)ceto politico della sinistra l’ossessione della presenza istituzionale fa malissimo, alle istituzioni e alla democrazia, l’assenza totale della sinistra fa peggio. Da queste «dialettiche» riflessioni, mi è venuta una piccola idea, quasi una proposta (del tutto personale). La formulo in quattro punti.
1) Dando per scontata l’approvazione della soglia di sbarramento al 4% (un atto di golpismo di pessimo gusto), la sola possibilità di ottenere rappresentanza, per un punto di vista di sinistra, è quella di una lista unitaria. Mi pare evidente che se quel poco che rimane del consenso\dissenso di sinistra si dovesse dividere tra due o più liste, il risultato non potrebbe essere un granché. Una sola lista, dunque. Ma quale?
2) Non un cartello dei partiti(ni) che già dettero vita alla disgraziata «Sinistra Arcobaleno», ma una coalizione radicalmente nuova. Costruita in toto, fuori da ogni mitologia sulla «società civile», su esponenti dei movimenti, dell’intellettualità critica, del sindacalismo, dell’associazionismo. Imperniata su un programma semplice e chiaro: portare a Strasburgo l’idea di un’altra Europa, del lavoro e dei diritti. Capace di rappresentare un punto di vista diverso, sia nei contenuti che nella concezione stessa della politica.
3) Da questa lista si autoescluderebbero i dirigenti, massimi, medi e piccoli, di partito. Qui si applica la proposta ascetica di Polo: si salta comunque un giro. I partiti stessi dovrebbero, certo, accordarsi, fare un patto: l’appoggio concreto (organizzativo, logistico, «tecnico») ai candidati di questa lista (e un eventuale accordo finanziario).
4) Il processo di costruzione di questa lista non potrebbe, a sua volta, che essere radicalmente innovativo. Primarie, assemblee, incontri, costruzione processuale dei criteri di selezione dei candidati – fatto salvo il vincolo di genere – insomma, un esperimento vero di partecipazione e coinvolgimento di massa, al quale un giornale come il manifesto potrebbe offrire un contributo vero. In sintesi, quello che avrebbe dovuto fare, e non fece, la Sinistra Arcobaleno.
Ho ben chiaro che una proposizione di questa fatta non troverà il consenso dei «gruppi dirigenti» delle attuali sinistre, convinti come sono che le elezioni europee possano costituire una buona occasione di risalita, se non di revanche anche grazie all’arroganza veltrusconiana. A me pare un’illusione – intorno vedo crescere soprattutto sfiducia, confusione, egemonia culturale della destra e la (in)credibilità di queste sinistre. Ma può darsi che mi sbagli. In ogni caso, battere una strada radicalmente nuova mi sembra un passaggio obbligato, se si pensa che la priorità sia quella della rifondazione di una sinistra degna di questo nome. Se, invece, si continua a inseguire l’obiettivo del «salvare la pelle», il risultato non potrà comunque essere buono, neppure ai fini della sopravvivenza stessa. Alla fine, la proposta di Polo potrebbe rivelarsi come quella più razionale.