Bush e Berlusconi: Prodi come Lukashenko

Neanche una telefonata, neanche un SMS ha mandato George Bush a Romano Prodi. Non sappiamo se alla Casa Bianca stiano studiando perfino sanzioni contro l’Italia, come se Romano fosse un Lukashenko bielorusso qualsiasi. Ma è chiaro che a quasi 48 ore dalla chiusura dei seggi in Italia, l’amministrazione statunitense ha scelto una grave presa di distanza verso il voto democratico degli italiani.

Bush avrà creduto a Berlusconi, che gli ha descritto Prodi comunista, amico dei terroristi e complice di Al Qaeda, fatto sta che lo screzio diplomatico c’è, anche se il centrosinistra tende a sminuirlo. Finora si presenta come un atto di cortesia all’amico Berlusconi, nonostante il Ministro dell’Interno di Berlusconi stesso abbia sanzionato il trionfo dell’opposizione e tutti gli altri capi di stato e di governo al mondo si siano già complimentati con Romano Prodi.

In realtà è inammissibile e vergognoso che Berlusconi con una mano chieda la Grande Coalizione e con l’altra non faccia una telefonata di complimenti a Romano Prodi come si fa in tutte le democrazie del mondo e inducendo l’amico George allo screzio.

Fatto sta che, nonostante l’equilibrio elettorale, le varie Freedom House, NED ed altre fondazioni specializzate in “regime change” (cambiamento di regime), hanno agito in Italia per conto di George Bush, ma fatto cilecca nella loro azione per aiutare la “conservazione di regime” dell’amico Silvio.

Povero Silvio, ridotto a pietire una grande coalizione nella quale al massimo potrebbe essere presidente della Camera (neanche del Senato). Si abbasserebbe a tanto pur di garantirsi l’impunità (Lodo Maccanico) per le cinque più alte cariche dello stato. Appena lo hanno beccato (nelle urne) si è subito pentito ed ha chiesto di collaborare con il “nemico rosso”.

Altra tempra Bernardo Provenzano: beccato a Corleone con i santini di Totò Cuffaro sulla scrivania, si è avvalso della facoltà di non conoscerlo. Berlusconi invece accetterebbe perfino di raccontare come ha fatto i soldi in cambio di uno strapuntino che continui a garantirgli l’impunità.

Triste fine Silvio, gli resta solo George, ché né Pierferdinando né Gianfranco, e nemmeno il fido Pisanu, mostrano troppa convinzione ad entrare nel bunker di Berlino del riconteggio o in quello della Grosse Koalition. Resta solo George. E George si sa, asilo politico agli amici ne concede. Dicono che per Silvio stiano già attrezzando una megavilla a Miami, giusto di fronte a quella di Manuel Noriega e a lato di quelle di Luís Posada Carriles e Gonzalo Sánchez de Lozada.