Liberainformazione: Il PD dalla questione morale al garantismo

berlinguer Sull’ottima NL di Liberainformazione si fa il punto su PD e questione morale. Lettura consigliatissima (gc).

Dalla questione morale al garantismo, il Pd fatica a uscire dalla Tangentopolina che ha scosso Napoli, Pescara, Potenza, Firenze, ma non solo.

Mentre prosegue la contesa tra le correnti, Veltroni tenta l’assalto ai plenipotenziari locali (vedi Bassolino), e sfodera l’arma dei commissariamenti (oltre ad Abruzzo e Campania, arriva la Sardegna e si profila la Sicilia).

Intanto le inchieste proseguono e si allargano, nonostante le scarcerazioni. Ma il dato emergente è la svolta dei Democratici sulla questione giustizia: basta barricate in difesa delle toghe (primo esperimento a Pescara), un dato di rilievo alla vigilia della riforma “dialogata” annunciata dal governo Berlusconi.

La lista dei guai giudiziari del Pd è lunga. Dalla giunta Domenici a Firenze (urbanizzazione dell’area del Castello), a quella di Pescara, poi lo scandalo petrolio in Basilicata (coinvolto il parlamentare Salvatore Margiotta), l’emergenza permanente della Calabria (non si contano i consiglieri e gli assessori regionali indagati, compreso il governatore Agazio Loiero) fino al buco nero di Napoli. E ancora Trento (appalti pubblici) e Genova (la Mensopoli sugli appalti ospedalieri e scolastici). Infine, le indagini sul faccendiere partenopeo Romeo arrivano un po’ dappertutto, ma in particolare a Roma (gestione Veltroni), Bari (sulle pulizie) e di nuovo a Firenze (informatizzazione).

La mappa dell’Italia delle tangenti è però estesa e trasversale (un dato che fatica a finire sulle cronache nazionali). Ancora ombre su Milano: dagli appalti della Regione per la costruzione del Pirellone bis, alle presunte tangenti in Comune per aggiustare pratiche edilizie. Non solo Pd, dunque. A Torino è l’ex parlamentare della Lega Roberto Ceresa ad essere sotto osservazione per un giro di mazzette nel settore farmaceutico.

I casi caldi restano quelli che hanno coinvolto l’Abruzzo e Napoli, con il Pd alle corde. Dopo lo scandalo sanità che in estate ha portato in cella l’ex governatore Ottaviano Del Turco, appena incassata la sconfitta alle regionali, sui Democratici è caduta la tegola Pescara. Il sindaco Luciano D’Alfonso e il suo braccio destro Guido Dezio sono stati arrestati con l’accusa di corruzione sistematica, ma successivamente scarcerati, con conseguente declassamento dei reati.

Decisioni, quelle del gip, che hanno fatto scatenare le reazioni garantiste del Pd (alimentate dal no ai domiciliari sancito dal gip di Potenza nei confronti di Margiotta). Il partito ha attaccato frontalmente la magistratura, con in testa il neo commissario regionale Massimo Brutti: fatti gravissimi, serve prudenza. E’ seguito l’intervento del vecchio “lupo marsicano” Franco Marini a chiedere il ritiro del commissariamento (D’Alfonso era anche alla guida del partito regionale).

E infine il ritiro delle dimissioni dello stesso sindaco, nell’ultimo giorno utile, il 5 gennaio. Una mossa che lascerà la giunta in sella fino alle elezioni, che si terranno probabilmente in primavera inoltrata. Un colpo di spugna alla questione morale.

A Napoli, l’immobiliarista Alfredo Romeo ha dato nome a un sistema di corruzione capillare che ha travolto il Comune guidato da Rosa Russo Iervolino. Tra assessori arrestati, scarcerazioni, avvisi di garanzia a parlamentari e voci sul coinvolgimento degli ex ministri Rutelli e Fioroni, l’inchiesta Magnanapoli va avanti a tutta forza.

Resta il nodo politico. Dimessi (Idv), defenestrati e ammanettati, in tutto sono cinque le caselle riempite con il rimpasto. La Iervolino ha salvato i bassoliniani, sancendo la rottura con Veltroni (con le conseguenti polemiche sulle registrazioni degli incontri con i segretari provinciale e regionale Luigi Nicolais e Tito Iannuzzi). Il Pd nazionale ha risposto con il commissariamento: in Campania ci andrà Enrico Morando. Intanto anche Massimo D’Alema ha messo in mora Bassolino.

Nel paese degli allergici alle dimissioni, non si può non citare il caso Sardegna, con il governatore Renato Soru che ha lasciato per difendere il piano urbanistico dal partito del cemento (evidentemente trasversale). Si voterà a metà febbraio. E Soru ci riprova, nel nome della politica e della morale.