Primo blitz 2009 del governo, il 7 gennaio voto di fiducia sulla riforma di Mariastella Gelmini per l’Università

08_12_19_gelmini_300x200 Oggi pomeriggio alle 16, con l’ennesimo grave blitz festivo, il decreto legge 180, approvato dal Senato il 28 novembre 2008 e non modificato alla Camera, verrà convertito in legge con voto di fiducia. Al di là dell’uso ossessivo e contro il dettato costituzionale del voto di fiducia, l’anno prossimo 40.000 insegnamenti universitari potrebbero rimanere scoperti mettendo a rischio il funzionamento di interi corsi di laurea.

Mariastella Gelmini la presenta come legge antibaroni ma tale definizione è solo l’ultima grembiulata, la formula ad effetto che serve a far parlar d’altro l’opinione pubblica come per i grembiuli o il voto in condotta. Sarebbe una svolta epocale che premierebbe chi fa ricerca penalizzando chi non lavora. Norme antibaroni? Valorizzazione degli atenei virtuosi? Svolta nel sistema universitario? Premiare chi lavora? In realtà la riforma di Mariastella Gelmini concentra ancora di più tutto il potere sugli ordinari che saranno gli unici a far parte di commissioni di concorso, crea paurosi buchi generazionali e avvia l’Università pubblica verso il collasso definitivo. E lo concentra perché così ha preteso con un semplice editoriale sul “Corriere della Sera” il baronissimo Francesco Giavazzi, uomo della COMIT con cattedra alla Bocconi. In questo articolo spieghiamo perché l’Università sta per bloccarsi.

Concentriamoci sulla norma presentata come rivoluzionaria e che è invece solo l’ennesima grembiulata di una ministra brava solo a nascondere la spazzatura sotto il tappeto: solo chi produce ricerca vedrà il suo stipendio aumentato, dice la Gelmini. Viva! Bene! Brava! Peccato che invece legittima proprio chi ricerca non la fa e induce chi lavora nelle facoltà ad abbandonare la docenza.

Per i non addetti ai lavori va spiegato che i docenti universitari non hanno contrattazione nazionale ma un aumento biennale dell’8%. Questo ha molti difetti, a malapena recupera l’inflazione e a parità di ruolo un anziano guadagna il doppio di un giovane ma può lavorare la metà. E’ un meccanismo che andrebbe cambiato profondamente ma la Gelmini si limita a dimezzare lo scatto biennale (4% invece di 8%) per chi non dimostrerà di avere svolto ricerca. Giusto? Forse, a patto di notare con due obiezioni che ancora una volta non si premia il merito ma si finge di punire il demerito:

1) Il mezzo scatto in questione vale circa 30 euro al mese per i giovani e meno di 100 per i pochissimi baroni con 30 anni da ordinario alle spalle. Questa è tutta la portata economica della presunta norma antibaroni sbandierata dalla Gelmini! Chiunque abbia altro da fare sarà legittimato (al modico prezzo di 30 Euro al mese) a non fare ricerca. Grazie Gelmini, stanno già dicendo. Per gli altri, quelli che fanno ricerca, i 30 euro non tolti non sono né un premio né uno stimolo a lavorare meglio.

2) Il lavoro universitario è composto di molte cose in precario equilibrio tra loro. Proviamo per comodità a suddividerle in tre. Oltre alla fondamentale ricerca, per la quale contemporaneamente si tagliano i fondi, c’è l’altrettanto fondamentale docenza (che include gli esami, ricevere gli studenti, seguire le tesi…) che è un’attività comprensibile a tutti a meno di non prendere posizioni demagogiche come quella dei calunniatori di professione de “Il Giornale”. Infine c’è l’attività di gestione della struttura, i dipartimenti, le facoltà, l’organizzazione pratica, convegni, master, dottorati, e-learning, la partecipazione a una pletora di riunioni, consigli, commissioni. Una parte importante (una buona metà?) del personale docente strutturato dedica molte ore alla settimana (10 ore? 20 ore?) a queste attività quasi mai retribuite a parte, volontarie, eppure indispensabili al funzionamento dell’Università. Non stiamo parlando di generico (per quanto importante) “studio”, ma di attività spesso verificabili e misurabili anche con i tornelli di Brunetta.

Perché si fa? Intanto perché (incomprensibile per alcuni) molte, moltissime persone lavorano con coscienza come stile di vita, e tengono molto alla struttura (dipartimento, facoltà, ateneo) dove lavorano e agli studenti. E’ allo stesso tempo evidente che a più lavoro, incarichi, responsabilità per gli ordinari corrisponde più potere e per i giovani corrisponde maggiore possibilità di rendersi utili alla struttura e sperare di accelerare la carriera.

Con la legge approvata definitivamente oggi la Gelmini decide arbitrariamente e demagogicamente di valutare SOLO la ricerca, che sarebbe, a suo dire, facilmente misurabile. Ma con quali conseguenze? Il 4% dello scatto, come abbiamo dimostrato, non è quantitativamente importante, è pura demagogia. Ma il combinato disposto dello spostamento su concorsi nazionali, più la valutazione della sola ricerca, più il taglio massiccio dei fondi che fa sì che le possibilità di progressione saranno sempre meno in futuro rischia di creare un corto circuito in grado di bloccare l’Università. Se per molti anni, soprattutto per esigenze delle strutture, i ricercatori sono stati considerati “terza fascia docente”, adesso la terza fascia docente può scomparire senza che scompaiano le esigenze didattiche che avevano nei fatti trasformato il ruolo di ricercatore in docente.

COSA MI CONVIENE FARE? I giovani, soprattutto i ricercatori, sanno da oggi che tutto quello che fanno nelle strutture avrà un impatto minimo sulle loro carriere future. Non serve più caricarsi di impegni, non serve più accettare docenza extra, pagata ogni anno meno, né serve seguire con diligenza le tesi degli studenti. Per progredire serve fare altro, soprattutto pubblicare. Altro che seguire tesi, stare in commissioni e andare a riunioni!

Alcuni rinunceranno alla docenza, si sottrarranno, punteranno i piedi, magari nascerà un movimento più o meno organizzato che l’anno prossimo porterà una parte importante dei 20.000 ricercatori italiani a rinunciare platealmente alla didattica, anche quella gratuita del carico didattico di base. Non succederà in questa misura, ma se così fosse l’anno prossimo ci saranno 30-40.000 corsi universitari finora tenuti gratuitamente che vedranno i rispettivi titolari rinunciare. Lo stesso potrebbe succedere con centinaia di migliaia di tesi di laureandi che il 3+2 ha raddoppiato.

Chi farà questo lavoro al loro posto? Qualche corso verrà preso in carico dai professori ordinari e associati che andranno così oltre il loro carico didattico di base e dovranno essere retribuiti con un costo extra su bilanci già massacrati. Non ci si inganni: oramai gli “affidamenti” (così sono definiti i corsi in più che alcuni docenti tengono) sono così mal pagati che non ci sarà la fila. E allora li daranno “a contratto” ai giovani precari, dottorandi, assegnisti, attaccati al predellino nella vana speranza di prendere l’ultimo treno e ai quali non importa (sic) se, quando e quanto saranno pagati. In alcune università da tempo la docenza è sostanzialmente non retribuita. Sarà sufficiente l’ambizione di giovani senza esperienza per coprire i vuoti? Forse, ma soprattutto i ragazzi dopo la laurea dovrebbero studiare e far ricerca, non dedicarsi subito della docenza.

D’altra parte l’opposizione non sembra in particolare disagio. Maria Pia Garavaglia del PD è preoccupata dalle dinamiche parlamentari e dal ricorso alla fiducia, più che dai contenuti. Giorni fa invece, Vincenzo Cerami (ministro della cultura del governo ombra), in un articolo dai toni particolarmente stantii buttava almeno lì un punto essenziale “Bisogna progettare una riforma che coniughi ricerca e didattica”.

Ma quando si tratta di dire “che fare” Cerami, che ammette di fare un altro mestiere, non ha proposte e preferisce prendersela con i baroni che, seppur non meritano difese d’ufficio, giova ricordare che non sono più di un paio di migliaia di persone su 60.000 docenti strutturati nei tre ruoli, non peggiori di altre élite delle pubbliche amministrazioni, i primari ospedalieri, gli alti gradi militari (di questi non si parla proprio mai ma comprando un solo aeroplanino da guerra spendono e sprecano più di tutti i baroni messi insieme), i dirigenti della pubblica amministrazione locale e nazionale, delle ASL, gli alti magistrati, i dirigenti della RAI e delle industrie artistiche, teatrali, cinematografiche, musicali, operistiche, che stanno tutte sul mercato solo perché finanziate dallo stato. Tra le pratiche di potere connesse col ruolo di tutti questi gruppi di alti funzionari (tutti meglio pagati dei docenti universitari) vi sono esattamente la stesse prerogative che hanno i cosiddetti baroni universitari: selezionare, cooptare, decidere chi farà carriera, spesso per nepotismo o per servilismo o per reciprocità di favori.

E allora Cerami e il suo partito cosa propongono per limitare e condannare tali pratiche? Il meccanismo che indica il governo è quello di asfissiare e privatizzare un’università impoverita. Il PD non si discosta. Eppure di correttivi ce ne sarebbero. Se il problema sono i baroni, cosa pensa il PD del ruolo unico che funziona bene in Germania e dell’abolizione di mille meccanismi, come lo straordinariato (un vincitore di concorso da ordinario sta in un limbo tre anni) che rallentano e riducono l’accesso al potere decisionale nelle università?

Oppure cosa ne pensa di meccanismi che favoriscano o quasi obblighino alla mobilità tra sedi nelle carriere, facendo sì che un tizio laureato a Siena possa agilmente fare il dottorato a Messina e poi svolgere la sua carriera università tra Venezia, Bari e magari una sede straniera senza per questo chiudersi le porte in Italia? Sono correttivi semplici che limiterebbero il nepotismo facilitando la cooptazione per merito. Quel che è certo è che nelle attuali condizioni è ipocrita parlare di abolizione dei concorsi e responsabilizzare i criteri di cooptazione: vuol solo dar ragione al Barone Giavazzi e concentrare più potere nelle mani di quei 2-3.000 baroni che a parole per Cerami sono colpevoli di tutto.

E’ evidente allora che dalla politica il mondo universitario non può aspettarsi nulla. Messi di fronte all’ennesimo gravissimo fatto compiuto, una legge approvata con la fiducia con le sedi universitarie ancora chiuse, il mondo universitario e i ragazzi dell’Onda sapranno riattivarsi?