Fukuyama divorzia dai neoconservatori: “sono leninisti”

Francis Fukuyama, il veneratissimo intellettuale neoconservatore, quello che dopo la caduta del muro di Berlino scrisse che la storia era finita e che gli Stati Uniti avevano vinto (pregasi inviare un pernacchio per ogni evento degli ultimi 16 anni che ha trovato posto sui libri di storia), ha divorziato dal neoconservatorismo e ritorna nell’alveo del tradizionale realismo repubblicano.

Forse sarà perché il fondatore del progetto bushiano per un nuovo secolo “americano” (PNAC) sta per lanciare un altro libro e vuole far parlare di sé, ma ci va giù duro con i suoi amici neoconservatori. “Pensare che la storia possa essere modificata con il volontarismo – è la sostanza del ragionamento dell’intellettuale statunitense sulle pagine del New York Times- è leninismo”.

Il “progetto per un nuovo secolo americano”, oltre a Fukuyama c’erano Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, è quel farneticante documento che attribuiva agli Stati Uniti il diritto-dovere imperiale sulla base del PROFITTO elevato a “principio morale” sul quale dovrebbe fondarsi l’intera umanità. Semplificazione forse la mia, ma nella sostanza per i consigli di amministrazione che sono dietro ogni pensatore neoconservatore, non c’è molto di più che conti nella vita.

Quando fu pubblicato nel 1997, il PNAC sancì l’alleanza nel partito repubblicano del grande potere economico, degli estremisti nazionalisti bellicisti capitanati dal vice presidente Dick Cheney, dei neoconservatori, dei realisti tradizionali (il blocco di potere conservatore che aveva portato al potere Bush padre) e la rampante destra cristiana.

Oggi Fukuyama trae alcune conseguenze. L’aggressione all’Iraq non è stata quella passeggiata che i neoconservatori pensavano (non potevano ascoltare qualche analisi critica?). Adesso teme che proprio il fallimento oramai manifesto in Iraq, porti ad un nuovo isolamento statunitense, e che Abu Ghraib sia stato il punto di non ritorno nella costruzione (comunque artificiale) della credibilità degli Stati Uniti come “egemonizzatori benevoli”.

La polemica aperta da Francis Fukuyama è tutta interna al partito repubblicano, ma non può non interessare il mondo. I partiti islamisti che trionfano in Egitto, Palestina e nello stesso Iraq, dove nessuna stabilizzazione sembra possibile, sono un colpo mortale al progetto neoconservatore in Medio Oriente. La retorica del Presidente e della Segretario di Stato Condoleeza Rice, è sempre più vuota e gli Stati Uniti sono tentati dal ritorno ad una politica più tradizionale. E’ il realismo (cinismo) politico da guerra fredda che farebbe appoggiare gli statu quo regionali e le peggiori dittature amiche. Queste, a ben guardare, non hanno mai smesso di essere appoggiate, ma sono state destabilizzate dal radicalismo neoconservatore, innanzitutto dalla guerra in Iraq ma anche dai richiami ai cambiamenti di regime ed all’esportazione della democrazia.

Rinunciando al visionaresimo incendiario ed imperiale dei neoconservatori, gli Stati Uniti possono dedicarsi ai cambiamenti di regime solo negli Stati canaglia, quelli realmente nemici e rinunciare a qualunque tipo di apertura da parte dei regimi autoritari amici. La lista è la solita: Iran, Siria, Venezuela, Cuba… La sospensione di tutti i processi elettorali in Egitto va in questa direzione. L’amico Moubarak, il dittatore fondomonetarista egiziano, può usare tranquillamente il suo pugno di ferro. Finché dura.