A volte ritornano: Lawrence Summers, Barack Obama e la discarica Africa

Simone Santini – Clarissa

La squadra del presidente eletto Barack Obama è quasi al completo. Per il gruppo che avrà il delicatissimo compito di traghettare gli Usa fuori dalla crisi finanziaria ed economica, sì è pescato a piene mani (come del resto negli altri settori) tra i cosiddetti "clintoniani", ovvero figure che hanno fatto parte a vario titolo delle Amministrazioni Clinton negli aurei anni ’90. Tra loro spicca Lawrence Summers nella veste di direttore del Consiglio Nazionale dell’Economia, come dire il massimo consigliere della Casa Bianca sulle questioni economiche e finanziarie.

Il curriculum di Summers è notevole. Proviene da una importante famiglia ebraica di famosi economisti e premi nobel (i Samuelson, ma Lawrence ha preferito assumere il cognome più anglofono, Summers, della madre), è stato vice-presidente della Banca Mondiale tra il 1991 e il 1993 per poi andare a ricoprire varie cariche al ministero del Tesoro con Robert Rubin (già alto dirigente Goldman Sachs) fino a prenderne il posto nell’ultimo biennio della presidenza Clinton (1999-2001). Dalla politica è passato al mondo accademico: fino al 2006 è stato rettore della prestigiosa università di Harvard, da sempre fucina della classe dirigente americana.
Ma per comprendere come si potrà muovere la nuova amministrazione non ci si può riferire esclusivamente ad un curriculum vitae che solo superficialmente racconta della forma mentale di un uomo.
Un aspetto che non è stato, a nostro avviso, sufficientemente messo in luce nella elezione di Barack Obama, è il ruolo geopolitico della sua figura in relazione ad aree mondiali che in futuro avranno un grandissimo e crescente peso, e su cui gli Stati Uniti stanno in questo momento arrancando.
Ci riferiamo in particolare all’Africa. Se Washington riuscirà a svolgere definitivamente i propri piani per il riassetto del Medio Oriente e dell’Asia centrale (in fase di pieno e cruciale delineamento), il successivo piano di confronto con le potenze nascenti (la Cina) sarà sicuramente nel Continente Nero. Da sempre "colonia" occidentale, nonostante anche su questo terreno si sia combattuta una parte della guerra fredda con l’Urss, negli ultimi anni l’Africa ha visto la massiccia penetrazione di Pechino. Questa dinamica è rinvenibile, non a caso, in tutti gli scenari di crisi africani. Dal Darfur (Sudan) alla drammatica guerra civile del Congo, dallo Zimbabwe alla "guerriglia del petrolio" in Nigeria, o al Corno d’Africa con le continue minacce belliche tra Etiopia ed Eritrea, ognuno di questi scenari può essere visto come un confronto/scontro per le risorse tra Stati Uniti e Cina.
Questo confronto, la Cina, lo sta vincendo, forte di politiche più efficaci: meno interesse al piano politico e del dominio, molto più pragmatismo economico e finanziario. In questo contesto l’elezione di Obama può fare la differenza. Il neo-presidente, è stato giustamente detto, non è tanto un afroamericano, ma un americano mezzo africano. Questo elemento ha destato grandissima impressione nella società civile africana: Obama è stato avvertito e salutato come uno di loro, un uomo da cui ci si può attendere la speranza di riscatto di un intero continente. Con Obama, ne siamo sicuri, gli Stati Uniti recupereranno tante posizioni in Africa, soprattutto sul piano dell’immaginario. Gli slogan vincenti durante la campagna elettorale americana si attagliano perfettamente alle realtà della borghesia africana in bilico tra Washington e Pechino: il cambiamento, la speranza per il futuro, la possibilità del riscatto, sono miele alle orecchie della classe medio-alta di Lagos o di Nairobi piuttosto che di Johannesburg, ma, perché no?, anche delle larghe fasce popolari sempre assetate di una figura carismatica su cui riversare aspettative e sogni.
Ma, aldilà dell’immaginario, qual è la reale entità del cambiamento? Proprio su questo, ciò che pensa un uomo come Lawrence Summers assume enorme importanza.
Nel dicembre del 1991, quando era alla Banca Mondiale, Summers stilò un memorandum confidenziale in cui si parlava di globalizzazione, inquinamento, ed Africa. Insomma, malgrado siano trascorsi 17 anni, sono temi di grandissima attualità. Ecco cosa pensava Summers:

"Vi sono almeno tre validi motivi per cui la Banca Mondiale dovrebbe incoraggiare un più intenso trasferimento delle industrie inquinanti verso i Paesi meno sviluppati:
L’entità dei costi sull’inquinamento, dannoso per la salute, è in relazione ai guadagni governativi in caso di aumento delle patologie e della mortalità. In questa ottica, una certa quantità di inquinamento dovrebbe venire prodotta nei Paesi con i costi minori, ovvero nei Paesi con i salari più bassi. Credo che la logica economica a sostegno dello smaltimento dei rifiuti tossici nei Paesi più poveri sia impeccabile e che noi dobbiamo accettarla. […] Ho sempre pensato che i Paesi poco densamente popolati dell’Africa siano decisamente sotto-inquinati, paragonati a metropoli come Los Angeles o Mexico City. Solo il deplorevole fatto che la maggior parte dell’inquinamento sia generato da industrie nazionali e quindi non trasferibili (trasporti, produzione di elettricità, ecc.) e che le spese per il trasporto dei rifiuti solidi siano così alte, impedisce alle società mondiali di intensificare il "trasferimento" dell’inquinamento dell’aria e dei rifiuti.
La richiesta di un ambiente pulito per motivi estetici e di salute è direttamente proporzionale al reddito di una nazione. La preoccupazione riguardo un agente inquinante che aumenti di una su un milione le probabilità di venire colpiti dal cancro, ad esempio alla prostata, sarà ovviamente molto maggiore in un Paese dove la popolazione raggiunge un’età in cui si possa sviluppare tale tipo di tumore, piuttosto che in un Paese dove la percentuale di mortalità infantile sia intorno al 200 per mille. Ricordiamo che la produzione industriale è mobile, mentre il consumo di aria pura non è commerciabile".

La logica economicista di Lawrence Summers è ferrea e stringente, e non fa una piega. Inquinare uccide e costa tanto. Territori ancora vergini come quelli africani possono permettersi di essere maggiormente inquinati, certamente più di Los Angeles, e la popolazione locale non ha di sicuro il tempo di preoccuparsi del tumore alla prostata visto che combatte giornalmente per non morire durante l’infanzia.  Estremamente funzionale e produttivo, quanto atroce ed inumano. È il capitalismo, baby, verrebbe da dire.
Ma Barack Obama è a conoscenza che il suo maggiore consigliere economico ha questa visione delle cose, in generale, ed in particolare per la "sua" Africa? Magari nel frattempo Summers avrà avuto tempo di cambiare idea. Sennò, poco importa. In fondo, una volta che quel continente sarà diventato una discarica satura, basterà trovare un altro posto sulla terra, visto che comunque "la produzione industriale è mobile, mentre il consumo di aria pura non è commerciabile".