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Lucia Pinochet, la perseguitata politica

La notizia (si veda la BBC di oggi [1]) che la signora Lucía Pinochet Hiriart, pur essendo accusata solo di reati finanziari, abbia chiesto asilo politico negli Stati Uniti, ha del paradossale e testimonia la doppia o forse unica fedeltà che le oligarchie latinoamericane riconoscono, quella agli Stati Uniti d’America.

Accusata in sostanza di cleptomania, la signora era nota alle cronache per un paio di giochi che ne testimoniano la gran classe. Innanzitutto per essere tornata più volte magicamente vergine come la Teresa Batista di Jorge Amado. Per tre volte, infatti, ottenne l’annullamento dei suoi matrimoni dalla Sacra Rota cilena. Questa è notoriamente un’industria che lavora 24 ore per 7 giorni su 7 per permettere ai ben nati di quel fortunato paese -che aborriscono e giammai ricorrerebbero al divorzio- di convolare cristianamente ad ancor più giuste nozze ogni volta che lo desiderano. Lucía precede le sue due sorelle in classifica, ma in tre collezionano finora ben sei annullamenti di matrimonio pur essendo più volte nonne.

Il secondo motivo (si veda: G. Carotenuto, «Cile: rendite da genocidio», Latinoamerica, Anno XXV, n. 90/91, gennaio-giugno 2005), quello che la sta facendo ritenere una perseguitata in patria è che la “ragazza” è intestataria di decine degli almeno 125 conti correnti riconducibili al padre e trovati in diverse banche degli Stati Uniti. Mentre il padre apriva i conti con nomi fittizi ed arrivò a farsi fotografare con baffi posticci per trasferire i soldi arraffati durante la sua dittatura, i familiari di Pinochet in genere aprivano i conti utilizzando i nomi reali. In altri casi venivano usate società di comodo statunitensi intestate ai figli o al dittatore stesso, la Meritor Investments, la Trust MT-4964, la Redwing Holdings, società vincolate alla Citybank, oppure legate al Banco Espiritu Santo de Miami, dove attraverso un conto intestato a Pinochet e consorte si celano le imprese Trilateral Trust e Santa Lucía Trust. La sola Meritor Investment, in tre diverse operazioni tra il 1998 e il 2000, muove fondi per 9,1, 15 e 5,3 milioni di dollari.?Considero una vergogna ?afferma il senatore statunitense Carl Levin- che mentre il Dipartimento di Stato all’inizio degli anni ’90, pubblicava rapporti sulle violazioni dei diritti umani in Cile, contemporaneamente alcune delle principali banche statunitensi, facessero lucrosi affari con Pinochet?.

Lucía, come praticamente tutta la famiglia, è accusata di evasione fiscale e falsificazione di documenti. Padre, madre e quattro figli, come una qualsiasi famiglia di mafia, tutti erano coinvolti per riciclare i proventi delle loro attività criminali. Martedì scorso, a tutta la famiglia era stata concessa la libertà dietro pagamento di circa 5.000 dollari a testa, una somma che per la maggioranza di cileni corrisponde ad uno o due anni di lavoro. Lucía era stata fatta imbarcare regolarmente a Santiago ma era stata fermata dalle autorità aeroportuali di Washington per il mandato di cattura internazionale emesso nei suoi confronti. Attualmente è in stato di fermo in aeroporto. La giocata dell’asilo politico, oltre ad essere particolarmente repellente da parte della figlia di chi causò centinaia di migliaia di esiliati politici in ben altre condizioni e sotto la diretta minaccia dello sterminio da parte della dittatura che tradì il governo legittimo di Salvador Allende è significativa della cultura di un’intera classe dirigente alla quale da due secoli tutto è concesso. Ancora nel 1994, cinque anni dopo avere lasciato il potere per la carica di Senatore a vita, e quattro anni prima di essere arrestato nella capitale britannica, l’allora presidente Eduardo Frei, che aveva appena sostituito il primo presidente eletto, Patricio Aylwin, mise a tacere il caso dei cosiddetti Pinocheques ?dall’unione tra il nome Pinochet e cheques, assegni in spagnolo- evocando una superiore ?ragion di stato?. Era venuto incontrovertibilmente a galla che attraverso suo figlio maggiore, il quasi omonimo Augusto Pinochet Hiriart, il dittatore si era appropriato di almeno tre milioni di dollari di fondi dell’esercito.

I rumori di sciabola quella volta furono così forti che non fu possibile andare oltre e tutto fu messo sotto silenzio. Alcuni giudici coraggiosi in Cile stanno lavorando perché la giustizia faccia il proprio corso anche e soprattutto per le violazioni di diritti umani commessi da Augusto Pinochet e la sua oligarchia economica e militare in perfetta sinergia con i governi statunitensi. Due anni fa, quando il presidente boliviano Gonzalo Sánchez de Losada, che parlava uno stentato spagnolo ed un perfetto inglese, fece sparare sulla folla che protestava perché questo voleva regalare il gas boliviano alle multinazionali statunitensi ad un terzo del prezzo di mercato e assassinò 79 persone, scappò a Miami, non ebbe alcuna difficoltà ad ottenere asilo politico. L’anno scorso il terrorista internazionale Luís Posada Carriles ha trovato rifugio negli Stati Uniti dove sta risolvendo tutti i suoi problemi e trascorrerà una vecchiaia serena in quel paese dopo essersi reso protagonista di centinaia di omicidi tra i quali quello del cittadino italiano Fabio di Celmo (per il quale i nostri governi dimenticano sistematicamente di chiedere giustizia). Oggi si apre il caso di Lucía Pinochet Hiriart.

Lucía Pinochet non è nessuno. A 60 anni suonati, è una privilegiata, figlia di un genocida che ha approfittato dei crimini del padre per rubare a man salva e oggi approfitta di nuovo di quei crimini per passare da perseguitata politica e non da ladra qual’è. Ma il governo degli Stati Uniti ha l’ennesima chance. Se concedesse alla Pinochet l’asilo per motivi politici farebbe sì che la tragedia si trasformi in farsa.