Hugo Chávez uomo dell’anno 2005

Il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chávez Frias è senz’altro l’uomo dell’anno 2005. Meno di 13 mesi fa concedeva a chi scrive un’intervista (che potete leggere qui) che all’osservatore neutrale poteva apparire al massimo il grande libro dei sogni di un visionario. Alcune delle cose che elencava, che potevano sembrare il programma politico per una o due generazioni, appena un anno dopo sono state realizzate o sembrano più a portata di mano. Il suo discorso all’ONU in settembre, del quale trovate qui un’analisi, è stato senz’altro la testimonianza più alta sullo stato attuale delle relazioni internazionali, il disastro imposto dall’unilateralismo statunitense e occidentale, il tracollo etico imposto al pianeta dal neoliberismo anglosassone. Ma quello di Chávez fu anche un discorso alto nella proposta all’umanità da parte di un grande dirigente politico che sorge dal Sud. O il mondo guarda al Sud o è condannato. O inventiamo o sbagliamo, dice Chávez citando Simón Rodríguez.

Sono seguiti altri fatti concreti. A Salamanca intorno alla rivoluzione bolivariana gli Stati Uniti si sono ritrovati assolutamente soli laddove Cuba e la rivoluzione cubana non è mai stata così poco isolata. A Mar del Plata hanno dovuto ammettere che l’ALCA (il mercato continentale in funzione delle sole esigenze degli Stati Uniti) lo vogliono solo pochi ascari cileni o centroamericani. All’ingresso del Venezuela come quinta stella della croce del Sud -il simbolo del Mercosur- seguirà presto quella della Bolivia di Evo Morales. Hugo ed Evo sono quelli che la cantano chiara a George W. Bush ogni volta che è necessario.

Hugo Chávez, con il superavit petrolifero di questi anni, ha potuto aiutare Argentina e Brasile ad affrancarsi ed estinguere il debito con il Fondo Monetario Internazionale. Se Lula da Silva ha potuto fare appena pochi giorni fa il grande gesto simbolico di ordinare l’immediata chiusura dell’agenzia del Fondo Monetario Internazionale a Brasilia, se Nestor Kirchner può dichiarare che mai più il Fondo potrà imporre all’Argentina di chiudere un pronto soccorso o una scuola elementare è perché alle loro spalle c’è il Venezuela bolivariano. Questo ha oggettivamente permesso loro di differenziare i creditori ed aprire una nuova stagione meno dipendente dagli organismi finanziari del Nord.

All’interno continuano ad esserci dubbi sulla solidità della classe dirigente di un partito, il Movimento V Repubblica, esile e sul quale troppi sembrano essere saliti sul carro del vincitore. Ma il consenso dal basso, riconfermato ed ampliato elettoralmente una volta di più fa ben sperare che la base chavista governi ed indirizzi un processo che è innanzitutto partecipativo. L’ultimo annuncio, quello della volontà di arrivare ad un’unità di scambio latinoamericana in sostituzione del dollaro (una sorta di vecchio ECU della CEE che per il solo fatto di esistere farebbe perdere agli SU una rendita di posizione miliardaria), sembra davvero il passo senza ritorno di un processo rivoluzionario dove dignità e sovranità smettano di essere parole vuote. Il 2005 è stato anche l’anno nel quale in molti anche in Occidente si sono dovuti accorgere della solidità del processo bolivariano. Non tutti ovviamente, non l’hanno fatto e non lo faranno mai velinari di Washington come un Gianni Riotta o un Alessandro Oppes, che riportano fedelmente sempre e solo la visione di mondo della Casa Bianca mancando al loro dovere primario di informare. Non lo fa un politico corrotto dal fondomonetarismo più ortodosso come Massimo D’Alema, che continua a spargere pregiudizio e bugie su tutto quello che succede in America Latina.

Nell’intervista che mi concesse Don Hugo citata, c’è già tutto quello che l’anno trascorso ci ha manifestato ma questo tutto è collocato in un futuro remoto. La cavalcata che trasforma i sogni in realtà sembra già oggi inarrestabile. Tra vento e tempesta il cammino è quello verso l’Unità Latinoamericana, la sovranità e la liberazione dal bisogno. Si sta avanzando anche se il cammino è arduo e pieno di ostacoli.

E se il XXI secolo fosse invece il secolo latinoamericano?