Per non dimenticare. Tlatelolco, 2 ottobre 1968. “La notte del Messico”, Gianni Proiettis

Il 2 ottobre 1968 l’esercito aprì il fuoco contro una manifestazione in Piazza delle Tre Culture. Fu una strage, di cui ancora oggi si ignora il numero delle vittime. Ma le Olimpiadi erano vicine, e il mondo si girò dall’altra parte TLATELOLCO, 40 ANNI FA
Gianni Proiettis
CITTÀ DEL MESSICO

Era il 2 ottobre 1968. Il mítin era convocato per le cinque del pomeriggio nella Plaza de las Tres Culturas a Tlatelolco. Si aspettavano anche rappresentanti di lavoratori e operai in lotta, che avrebbero dichiarato il loro appoggio al movimento studentesco. I delegati del Consejo nacional de huelga parlavano dalla balconata del terzo piano dell’edificio Chihuahua, dove c’erano microfoni e altoparlanti. Fra dieci e ventimila persone si stavano radunando nella piazza per ascoltare gli interventi dei delegati delle varie scuole e facoltà: El dos de octubre llegamos/ todos pacíficamente/ a un mítin a Tlatelolco/ quince mil en la corriente. Negli ultimi due mesi gli scontri con la polizia erano stati all’ordine del giorno. Il movimento aveva subito i colpi di una repressione violenta che includeva desapariciones , pestaggi e torture e si intensificava con l’avvicinarsi dei Giochi. Mancavano solo dieci giorni all’inizio della XIX Olimpiade e il Messico era l’anfitrione, primo paese del terzo mondo a cui si concedeva l’onore. Il presidente Díaz Ordaz (1964-1970) era convinto che quello era il biglietto per il primo mondo e non aveva badato a spese, non avrebbe permesso che questi studenti, agitati da provocatori comunisti e con la testa montata dall’esempio parigino, gli guastassero la festa. Il piano aveva tutta la rozza sofisticazione delle «operazioni» della Cia, attivissima in quei giorni in Messico: la piazza piena di manifestanti verrà accerchiata dall’esercito, un corpo speciale – il batallón Olimpia , creato apposta per le Olimpiadi – infiltrato in borghese fra la gente, comincerà a sparare in direzione dei soldati provocandone la reazione armata sulla folla. Ancora oggi non si conosce il numero preciso dei caduti nella piazza di Tlatelolco: una delle stime più credibili, del Guardian , supera i trecento. Molti di più della ventina di morti dichiarati dalle prime versioni ufficiali. I grandi media si nascosero. Alcuni corrispondenti – fra cui la Fallaci, ferita nella sparatoria – trasmisero la notizia, pur ignorando radici e conseguenze di quella strage di stato, ma l’immagine di quell’Olimpiade rimase il pugno chiuso delle black panthers Tommie Smith e John Carlos, e non i trecento corpi di innocenti, alcuni dei quali bambini, gonfiati dalla pioggia e portati via di notte su camion dell’esercito come sacchi d’immondizia. I responsabili della strage del 2 ottobre 1968 nella plaza de las Tres Culturas – così chiamata perché ospita vestigia preispaniche, una chiesa coloniale e una serie di edifici moderni – sono stati chiari fin dall’inizio. Il regime autocratico di quel periodo – il Pri, il partito-stato, allra al potere da quasi 40 anni – seguiva la regola del «non si muove foglia che il presidente non voglia». E con il presidente Díaz Ordaz, l’esecutore non poteva essere che il suo ministro degli interni, Luis Echeverría Álvarez, che nel 1970 gli sarebbe succeduto alla presidenza. Fu lo stesso Gustavo Díaz Ordaz ad assumersi «la responsabilità storica» dell’accaduto prima di lasciare la presidenza, certo che l’«accaduto» non sarebbe mai emerso in tutta la sua crudezza di freddo piano omicida. Avrà creduto davvero, Díaz Ordaz, nella congiura comunista per sabotargli le Olimpiadi? Avrà pensato che con le migliaia di arresti che ordinò dopo la strage sventava una minaccia al suo governo? O era solo una forma, come dice la scrittrice Elena Poniatowska, «di insegnare l’educazione ai figli ammazzandoli a seggiolate»? La ricostruzione dell’evento più traumatico del secondo Novecento messicano è stata frutto di un lavoro collettivo, iniziato proprio nel 1968, subito dopo il massacro, dalla stessa Poniatowska. La noche de Tlatelolco , che raccoglie le voci di più di 300 sopravvisuti al massacro, è un’opera corale che rivive non solo un avvenimento, ma un intero contesto, un’epoca. Il libro, che riporta molte testimonianze di studenti raccolte in carcere nei mesi successivi, divenne da subito un’opera di culto. Lo stesso presidente Echeverría – supremo cinismo! – volle premiarlo nel 1971: Poniatowska rifiutò il premio, domandando chi sarebbe andato a premiare i morti. Nei decenni successivi, la ricostruzione dei fatti di Tlatelolco e del loro contesto non ha smesso di arricchirsi. Giá nel 1998 un’apposita Comisión de la verdad , presieduta dallo scrittore Paco Ignacio Taibo II, aveva chiarito la dinamica dei fatti e chi partecipò all’azione. L’ultimo pezzo del puzzle lo fornirono delle foto recapitate anonimamente nel 2002 a Sanjuana Martinez, corrispondente a Madrid di una rivista messicana, in cui si documentava con tutta chiarezza l’esistenza dei famosi guantes blancos , i militari in borghese utilizzati per scatenare il massacro. Ma se si è fatta luce su quell’indignante episodio di disumanità del potere, non altrettanto si può dire per la giustizia. I tentativi di condannare l’ex presidente Luis Echeverría non hanno mai superato il livello degli arresti domiciliari. A quell’ultraottuagenario, che durante la sua presidenza (1970-1976) perpetrò un’altra strage di studenti – quella del Corpus Domini del 1971 – pur avendo fama di uomo di sinistra, deve essere sembrata una terribile umiliazione sentirsi gridare «assassino» dagli studenti di allora, riuniti nel Comité 68 e decisi a non far dimenticare un passato doloroso. Quando l’elettorato messicano provò il breve brivido dell’alternanza e il presidente Fox, a nome dell’imprenditoria cattolica di destra, conquistò la presidenza nel 2000, il nuovo governo promise di fare i conti con il passato e creò la «Fiscalia especial para movimientos sociales y políticos del pasado», che avrebbe dovuto fare chiarezza e giustizia non solo sulla strage di Tlatelolco, ma sull’intera guerra sucia , il processo di eliminazione fisica di guerriglieri e oppositori fra gli anni ’60 e ’80. Le speranze risvegliate dalla nomina del procuratore Carrillo Prieto, una cui parente era desaparecida in quegli anni, si sgonfiarono con la fine del sessennio di Fox, quando la Fiscalia fu smantellata senza alcun risultato di rilievo. Oggi, i ventenni di allora commemorano i 40 anni dal 2 ottobre 1968, una data che «no se olvida» non si dimentica. Quei sessantottini gioiosi, che pretendevano di cambiare il mondo con volantinaggi e occupazioni, sono oggi maturi sessantenni, ognuno con una sua storia ma uniti da un passato comune che spesso include qualche anno di galera. Sanno di avere scritto una pagina di liberazione che avrebbe meritato risposta migliore di quella sferrata dallo Stato. Oggi, quarant’anni dopo, quando non si è ancora fatta giustizia per quelle atrocità e un governo agente degli interessi multinazionali minaccia di usare i militari contro le proteste popolari e i movimenti sociali, la ferita di Tlatelolco non si è ancora rimarginata.

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Consiglio anche lo speciale uscito ieri, 3 ottobre, sulla Jornada (esclusivamente in spagnolo)