Cina: l’impero di scorta per il Venezuela

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La visita di Hugo Chávez in Cina si è conclusa con un importantissimo accordo economico e militare che, stranamente, viene riconosciuto come tale perfino da chi in genere è ipercritico verso il governo bolivariano.

L’accordo più importante è ovviamente quello sul petrolio. La Cina, che oggi importa 150.000 barili al giorno dal paese caraibico, arriverà già entro l’anno a 300.000 barili.

Ma è solo l’inizio: secondo gli accordi entro il 2009 dovrebbe arrivare a 500.000 e per il 2012 a un milione di barili, quantità che per allora dovrebbe rappresentare circa la quarta parte dell’export venezuelano. Il presidente Chávez ha contestualmente lanciato segnali di tranquillità agli attuali clienti, a partire da quelli statunitensi, sul fatto che la crescita dell’export verso la Cina non comporterà decrescite verso gli attuali mercati.

E’ evidente che vendere petrolio in Cina sia meno redditizio che venderlo nella regione. Ma sia l’ampliamento del Canale di Panama sia la futura realizzazione di un oleodotto che attraverso la Colombia dovrebbe portare sul Pacifico il petrolio dell’Orinoco, rendendo più facile e conveniente per il Venezuela l’accesso al mercato asiatico. Per l’oleodotto attualmente il governo Uribe frena in sinergia politica con quello Bush, ma anche la Colombia ha molto da guadagnare dall’apertura a Ovest (l’Asia è a Ovest) e prima o poi l’ideologia dovrà cedere al mercato.

Con l’accordo strategico con la Cina viene centrato un obbiettivo storico del Venezuela bolivariano: la diversificazione dei compratori di greggio. Fino a prima di Chávez la libertà di vendere altrove il proprio petrolio era un tabù e un caso esemplare di teoria della dipendenza neocoloniale: il petrolio venezuelano era “cosa nostra” statunitense. Oggi il Venezuela è un paese che, semplicemente, rafforza la propria indipendenza politica e rivendica il diritto di vendere sul libero mercato le proprie materie prime.

Altri accordi sono stati firmati con la Cina e il bilancio commerciale sino-venezuelano dovrebbe arrivare ai 10 miliardi di euro all’anno a metà del prossimo decennio dai circa quattro attuali. Oltre a ciò si rafforza la cooperazione nel campo delle forniture militari. Negli ultimi dieci anni il Venezuela, nonostante sia costantemente minacciato di aggressione da parte degli Stati Uniti, non ha mai aumentato le proprie spese militari né minacciato militarmente alcun paese. Le continue limitazioni al rinnovo dei propri armamenti imposte da parte degli Stati Uniti, paese che ha storicamente sempre monopolizzato il mercato militare della regione, ha obbligato il Venezuela a rivolgersi altrove, prima in Spagna, ma anche lì si sono scontrati con il veto statunitense, quindi in Russia e in Cina.

Ancora una volta l’estremismo politico del governo statunitense, che contribuì ad organizzare un sanguinoso colpo di stato ed una serrata golpista contro il governo democraticamente eletto nel 2002-2003, penalizza l’economia di quel paese facendo perdere quote di mercato storicamente consolidate verso una nazione, il Venezuela bolivariano, in pace con tutti i suoi vicini e lontanissimo dal rappresentare una minaccia per gli Stati Uniti stessi. Di questi tempi, per l’economia statunitense sarebbe bene mettere da parte il fondamentalismo protestante e trattare il governo democratico venezuelano come un partner legittimo.