Vaticano contro Daniela Mercury: lotta contro l’AIDS

Confesso di essere parziale quando parlo di Daniela Mercury, la grande bahiana, la regina del carnevale di Bahia. Ricordo un suo concerto all’autodromo di Jacarepaguá a Río de Janeiro quando tenne 200.000 persone a ballare fino alle sei di mattina. E per chi mi conosce, non succede che balli tanto spesso fino alle sei di mattina. Solo lei o quasi (e Río, e il Brasile, e la compagnia, confesso) poteva trascinarmi.

Daniela Mercury, che si dichiara cattolica ed è impegnata da sempre con il vescovato di Bahia, oltre che come Ambasciatrice dell’Unaids e dell’Unicef, doveva essere la grande stella del concerto di Natale in Vaticano.

Doveva essere perché il Vaticano ci ha ripensato. La colpa di Daniela Mercury? Avere aderito come testimonial alla campagna del Ministero della Sanità brasiliano per la lotta contro l’AIDS. In questa campagna si promuove l’uso della “camisinha”, il preservativo. Ce n’è abbastanza per una scomunica. Una cattolica che dissente nel XXI secolo è una cattolica scandalosa. La grande artista si è detta dispiaciuta ma ha rivendicato il diritto a dissentire: “Per me il preservativo è uno strumento di protezione della vita”.

Sarà un caso ma una grande stella internazionale viene invitata per tempo (anche con anni di anticipo) e le attività solidali di Daniela Mercury sono pubbliche e conosciute. Non solo si colpisce una volta di più irresponsabilmente la lotta all’AIDS, ma non può sfuggire che si colpisce la chiesa cattolica di Bahia, e indirettamente quella di tutto il Brasile. la più impegnata nel lavoro sociale e vicina da sempre al PT di Luís Ignacio da Silva, detto Lula.

La svolta a destra (sic!) del nuovo papa può riportare il Vaticano all’epoca della caccia alle streghe della prima metà del pontificato wojtyliano quando proprio la chiesa brasiliana, la teologia della liberazione, fu vittima di una guerra senza quartiere, isolata, perseguitata, delegittimata, decapitata nei suoi pastori, ma non per questo sconfitta nelle sue ragioni.