Lo Svimez, il Mezzogiorno e la crisi italiana

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Parleremo un paio di giorni di Mezzogiorno che affonda, e poi andremo al mare o guarderemo repliche in Tivù, e in fondo anche l’annuale rapporto Svimez è una replica. Su La Stampa Gramellini sostiene che “se non si parla più di secessione è perché è già avvenuta nei fatti”, preferendo strizzare l’occhio al suo pubblico di riferimento, piuttosto che fare informazione. C’è invece una crisi italiana complessiva e di lungo periodo di un Paese che sta scendendo dal treno europeo sul quale per la prima volta in età contemporanea era riuscita a salire nel dopoguerra, innanzitutto grazie a politiche di integrazione e coesione sociale. È una crisi nella quale il Sud soffre di più, ma il Nord ha potuto solo mascherare fragilità e inadeguatezze che vengono a galla.

Poi c’è chi pensa che sia tutta colpa del Nord e favoleggia di età dell’oro perdute e chi razzisteggia su una differenza antropologica di un Sud “palla al piede” per propria responsabilità. Un dato tra tutti esplicita l’inadeguatezza degli stereotipi: il vero collasso demografico del Mezzogiorno che pure contribuisce a rendere meno drammatico e occultare quello del Nord. I giovani meridionali che fanno figli al Nord, permettono a quest’ultimo di illudersi del suo benessere solo relativo e cercare di sopravvivere in un modello pensato per mettere chi sta indietro in una condizione di disagio che da materiale si fa etica. C’è dunque una crisi italiana complessiva (parte di una crisi della centralità occidentale più ampia), figlia delle debolezze non risolte dal boom economico e della forma regressiva con la quale abbiamo aderito al modello neoliberale (regressivo in sé). Ciò tra disinvestimenti nel pubblico e nell’educazione, cialtroneria e corruzione delle classi dirigenti, integrazione delle mafie nella vita legale (ovunque), politiche punitive antimeridionali volute da chi ha portato la Lega Nord al governo, incapacità di usare i fondi di coesione europei come invece fece la Spagna.

Fuor da retoriche su solidarismi per molti démodé, la crisi è quella di un paese che ha dismesso la riduzione delle disuguaglianze sociali e territoriali non già dai propri valori fondativi e costituzionali ma dalle proprie strategie per perseguire la crescita economica. Checché ne dicano, la coesione territoriale e il dare opportunità a tutti i cittadini, settentrionali, meridionali e immigrati resta, oggi come 150 anni fa, l’unico cammino verso lo sviluppo e la crescita. C’è chi si illude che sottrarre il Sud al Nord sia una soluzione. Altro che secessione, questo è un marrucheto che concerne in maniera inestricabile tutta l’Italia.