Ma la spazzatura col microchip non sarà esagerato?

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Domani “conferirò” il mio primo sacchetto di rumenta* dotato di microchip. Sarà d’indifferenziato, il che non vuol dire che non necessiti attenzione. Per esempio, ad un’attenta lettura (quanti avranno letto attentamente?), i sacchetti di nylon o plastica, i blister dei medicinali e chissà cos’altro che fino a ieri andavano nell’indifferenziato oggi passano al multimateriale.

È passata appena una settimana (la consegna della posta nella maggior parte d’Italia è ormai totalmente random) da quando ho ricevuto la lettera del comune che spiegava in modo affabile, se non gaio, l’innovazione nel centro storico dove sto abitando. Nella lettera non si parla di sanzioni per chi se ne fregherà o, semplicemente, sbaglierà, né di premi per chi è scrupoloso e magari produce pochissimi rifiuti, che sarebbe la chiave di tutto. Io per esempio ho potuto capire negli ultimi anni di produrre una frazione della plastica che producono quelli che abitano nelle vie vicine alla mia, forse perché, per esempio, non bevo acqua minerale. Potrei produrne quantità industriali, nulla cambierebbe. Nella lettera si fa però riferimento ad alcuni luoghi di conferimento videosorvegliati: dallo “stato di polizia” allo “stato di spazzatura”? La sorveglianza è a senso unico, ovvero i cittadini sono sorvegliati ma non si fa riferimento alla sicurezza (della privatezza dei dati, certezza dell’identità del conferente ed evenetualmente sanzionato…) e questo non mi piace. Il tutto è teso a rassicurare il cittadino su quanto sia bello, facile ed ecologico differenziare. Ma non serve a rassicurare me sul fatto che tutto è maledettamente più complicato.

Differenzio con attenzione da una vita e non l’ho mai considerato un peso se non per la sanzione morale che a volte in certi ambienti ho sentito comportasse la minima disattenzione. Come in molte cose, mi piace pensare che la tendenza a far bene sia più umana e utile della perfezione. Chi spreca litri d’acqua per disinfettare i barattoli di yogurt fa molto peggio di chi li butta via sporchi.

Infine, nei comportamenti collettivi, ritengo fondamentale il minimo comun denominatore piuttosto che la pretesa di livelli elevatissimi che lasciano per strada, con o senza censura, chiunque non ne faccia una questione d’onore. E invece con i microchip viene un’ulteriore complicazione: si passa da cinque a sette categorie diverse: multimateriale, carta, cartone (che non va più con la carta ma si consegna in situazioni diverse e orari speciali), indifferenziato, vetro, umido e pannoli(o)ni. A parte l’umido, nulla può essere consegnato più di due volte a settimana, confermando nero su bianco la punizione collettiva per la quale gli addetti lasceranno in strada (nei centri storici gli unici bidoni sono per l’umido) la spazzatura mal conferita, ovvero fuori orario o con sacchetti non omologati. Sta cosa del lasciare la spazzatura in strada è un po’ un colpirne cento per educarne uno, semmai pure si educa.

Il cuore di tutto però sono i microchip. Avere i microchip sui sacchetti causa sentimenti ambivalenti. Escludo che tra qualche mese mi scriverà il sindaco per complimentarmi in quanto smaltitore provetto. Davvero il corretto smaltimento della mia rumenta vale così tanto da mettere in piedi tutto questo casino? E a chi sto dando il potere di leggere nei miei fondi del caffé? Ai vigili urbani per sanzionarmi? A soggetti privati per profilarmi come consumatore? A un grande fratello che vuol sapere cosa mangio, quali medicine prendo, a quali riviste sono abbonato, magari anche quali comportamenti sessuali ho? Davvero qualcuno studierà la mia spazzatura o è solo una spettacolarizzazione?

Andando a ritirare i sacchetti col microchip in comune, accettando va da sé le regole del gioco, tutti gli addetti si comportavano gentilmente e c’era un bel clima. Mi ha ricordato «le elezioni» di Giorgio Gaber. Siamo tutti vogliosi di partecipare e salvare il mondo, ma perché in fondo non riesco più a fidarmi?

* Uso il genovese “rumenta” dal secolo scorso in onore di una fidanzata ligure, che mi regalava un pesto buonissimo nel “bulacco”. Bulacco col tempo l’ho perso, rumenta è parte del mio sincretico lunfardo personale.