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El Salvador: ballottaggio al riconteggio per la sinistra che non ha saputo vincere

SCenGuerra [1]

 

Come avrà fatto la sinistra salvadoreña a passare da 300.000 voti di vantaggio nel primo turno ad appena 6.000 nel ballottaggio, tanto che il tribunale elettorale non ha potuto proclamare vincitore il candidato dell’FMLN (centro-sinistra) Salvador Sánchez Cerén, facendo entrare il paese in un preoccupante limbo?

Evidentemente, come altrove, vincere col 50,11% espone alla macchina delle destre politiche e mediatiche che millanta brogli e chiede riconteggi, trovando facile eco nel mainstream.

Al primo turno, il Frente Farabundo Martí, la guerriglia convertita in partito politico dopo gli accordi di Chapultepec del 1992, dei quali Sánchez Cerén (nella foto all’epoca) fu tra i firmatari, che ha discretamente governato con Mauricio Funes uno dei paesi più difficili della regione, si era imposto con un apparentemente comodo 48,9%, essendo tuttavia costretto al ballottaggio dall’estrema destra del partito Arena (38,9%), che candida Norman Quijano, dirigente lambito da enormi scandali di corruzione.

La prima spiegazione va allora cercata negli elettori del terzo candidato, l’ex-presidente di destra Antonio Saca, che al primo turno aveva raccolto un buon 10%. Il tentativo di Saca di creare un partito centrista, un po’ più civile della destra preistorica di Arena, non abortisce ma i suoi elettori sono tornati tutti, nessuno escluso si potrebbe dire, nel bacino elettorale di Arena, e Quijano li ha potuti sommare ai suoi per pareggiare di fatto i conti con Sánchez Cerén.

L’FMLN ha realizzato in questi anni importanti programmi di cui hanno beneficiato le classi popolari. Anche in Salvador gli indici di povertà sono calati dal 38 al 29%, né poco né molto ma in un contesto di alleggerimento della forza di mobilitazione di un movimento popolare tradizionalmente forte. L’idea di perseguimento di una terza via all’europea dell’ex-giornalista Mauricio Funes ha dunque pagato per molti versi, facendo entrare il FMLN nel novero della cosiddetta “sinistra responsabile” che piace all’Internazionale socialista, alla Casa Bianca e all’FMI, ma ha lasciato campo enorme alla propaganda delle destre su mano dura e sicurezza, che ha successo anche nel campo popolare. È un fatto che ovunque nel Continente (con la parziale eccezione del Messico, dove una sinistra politico-istituzionale è quasi sparita), di fronte all’avanzata della violenza generata dal narco e dal consumismo, è la sinistra che spesso governa a essere costantemente messa sulla graticola dai media quasi sempre controllati dalle destre che propongono se stesse come “mano dura” necessaria nascondendo quanta responsabilità hanno nel disastro.

Paradossalmente dunque il governo si è visto danneggiato da quello che è probabilmente il maggior successo del mandato, ma che non può essere rivendicato pubblicamente: la tregua tra le maras Salvatrucha 13 e Barrio 18, che ha fatto letteralmente precipitare il numero delle morti violente nel paese. Pur “scaricando” i meriti della tregua sulla curia, il governo non è riuscito a scrollarsi di dosso l’idea di aver preso parte ad una vera e propria “trattativa Stato-mafia”. In un contesto difficile quale quello salvadoreño, ma caratterizzato dalla tradizionale presenza di un settore di piccole e medie imprese più consolidato che nel resto della regione, l’enfasi di Funes e del FMLN per riforme tributarie che ampliassero la classe media, appare una buona scelta anche per spostare una quota di classi medie verso il campo progressista. Non è bastato e, anzi, i segnali di spoliticizzazione del campo popolare, incapace di mobilitarsi per assicurare la vittoria nel ballottaggio, sono stati sottovalutati. Adesso comincia il riconteggio. Al di là degli appena 6.634 voti di vantaggio, le sensazioni che chi scrive ha raccolto sono tutte ottimiste. Speriamo siano confermate dai fatti.