Scuola e disinformazione: ma Francesco Giavazzi chi l’ha scelto?

lavagna Di fronte a Via Solferino, la sede storica del Corriere della Sera, uno sente sempre una sorta di rispetto. Se non sei d’accordo con l’articolo di fondo del giorno, penserai che sono dei reazionari, o argomenterai diversamente ma sempre in punta di piedi. Leggendo il fondo di oggi di Francesco Giavazzi, “Scuola il tabù dei concorsi” invece l’unico commento possibile è che l’articolista non sappia di cosa parli, ma lo dica lo stesso.

Come rivela già il titolo, il lungo commento (il più importante articolo sul più importante quotidiano italiano di oggi, in pratica la prima cosa da leggere oggi sulla stampa italiana) dell’autore de Il liberismo è di sinistra, professore ordinario di Economia Politica alla Bocconi di Milano (alla faccia del bicarbonato di sodio) e visiting professor al MIT di Boston, si dedica a spiegare che il male della scuola sono i concorsi pubblici e che questi devono essere sostituiti dal potere di chiamata dato a presidi responsabilizzati. Oibò, trasecola chiunque segua un po’ le cose della scuola. Qui non è questione di essere o non essere d’accordo con l’illustre professor Giavazzi. E’ questione che Giavazzi non sa che l’ultimo concorso nella scuola fu bandito nel secolo scorso. Avete capito bene, nel 1999.

Ovvero il problema della scuola italiana per Giavazzi sarebbe una cosa che non c’è: come dire che la colpa dello 0-3 contro l’Olanda è di Marcello Lippi, oppure che bisognerebbe chiedere oggi l’abolizione della pena di morte non in Cina o negli Stati Uniti ma nel Granducato di Toscana. Il problema semmai sono i concorsi che non ci sono. Ma Giavazzi vuole dare tutto il potere ai presidi che, come per il caporalato nelle campagne meridionali, potranno scegliere chi lavora e chi no in un ulteriore modello di 1) privatizzazione fatta con soldi pubblici (e sempre a costo zero); 2) precarizzazione ulteriore degli insegnanti.

Quello che vuole Giavazzi in realtà succede già oggi, proprio per la cronica mancanza di concorsi che lascia il potere di selezionare gli insegnanti a soggetti diversi, dai presidi stessi, ai sindacati, alle scuole private generalmente confessionali, indipendentemente dal merito. Perciò nella scuola italiana chi ha la fortuna di trovare un preside disposto a fargli fare una sola ora di supplenza, entrerà in un meccanismo nel quale, per il solo fatto di resistere, prima o poi, magari vent’anni dopo, avrà un posto di lavoro a tempo indeterminato lavorando per decenni senza essere verificato da nessuno. E spesso e volentieri l’unica verifica del merito di quell’insegnante l’ha fatta quel primo preside di quella prima ora di lezione. Poi sarà intervenuta solo un’abilitazione sanatoria e certificare l’incertificabile.

Surreale Giavazzi e surreale la sua foia ideologica ultraliberale contro una scuola che resti pubblica e uguale per tutti. Ma surreale è soprattutto la sua ignoranza, della quale nessuno al Corriere ha chiesto a lui conto e che può essere verificata leggendo l’articolo linkato sopra. Per esempio per Giavazzi, è tempo di dire basta ai programmi nazionali (come dire a Potenza si potrà studiare solo la Storia del Regno delle due Sicilie e a Cuneo solo quella del Regno di Sardegna) e far competere le scuole anche sui programmi come si fa nei paesi anglosassoni. Fare come gli anglosassoni è il mantra liberista pari al fare come in Russia dei comunisti negli anni ’20. Ma si sa che la maggior parte dei comunisti erano proletari con istruzione elementare mentre i liberisti hanno tutti titoloni accademici presi alla London School of Economics e simili.

Orbene dite voi, può uno come Giavazzi non sapere che proprio i governi più liberisti, quello di Ronald Reagan negli Stati Uniti e quello di Margaret Thatcher in Gran Bretaglia condussero con piglio delle battaglie per ristabilire i “national standards” ovvero dei programmi unici nazionali contro l’anarchia di un sistema privatistico dove non si capiva più chi studiava cosa? Ovvero Giavazzi consiglia di fare come nei paesi anglosassoni, ma questi fanno fatto esattamente l’opposto di quello che Giavazzi per fideismo ideologico si aspetta che facciano e che lui stesso consiglia di fare.

Francesco Giavazzi è uno dei guru della conversione liberista del centro sinistra. E non sa di cosa parla.