Anto’, fa caldo!

Donna-con-Ventaglio-Print-C12037438 La bella avvocata del piano di sotto ha gli occhi sbarrati: “si muore di caldo”. Mannò è una stupenda giornata di inizio estate, provo a dirle, ma non può capirmi, come se parlassi bulgaro. E’ la ventesima persona che mi si lamenta del caldo oggi, neanche fossi il loro confessore. E se non fosse stato per il caldo si sarebbero lamentati di altro. Mi piacerebbe domandare loro: c’è qualcosa che ti fa felice oggi? Fossero anche solo gli gnocchi di mamma, una domanda del genere sarebbe interpretata come una provocazione.

Nel mio dipartimento, in molti uffici dove fino a due giorni fa ruggiva il riscaldamento, adesso sbuffa l’aria condizionata e continuerà a sbuffare fino a quando in autunno non rilascerà spazio al ruggire del riscaldamento, senza un giorno solo di pausa. Sembra che non si possa più vivere neanche un giorno all’anno senza un correttivo al clima che il padreterno ha deciso per oggi, come il Varnelli nel caffè.

Tempo fa sposai brevemente una persona che per 180 giorni l’anno si lamentava del freddo e per 180 si lamentava del caldo (e di moltissime altre cose, se ne fanno di errori nella vita).

La infastidiva moltissimo il fatto che io considerassi bella o normale una giornata che per lei era insopportabilmente troppo calda, o fredda, o umida, o secca, o qualunque cosa. Se in Google metto le parole Italia e clima, al primo posto esce una marca giapponese di climatizzatori, ma al secondo e al terzo mi ricordano che l’Italia resta un paradiso del clima temperato, tra i migliori del mondo, mite d’inverno e non troppo caldo d’estate. Domandiamolo agli italiani: vi ricordate che il sussidiario delle elementari vi spiegava di avere tra i migliori climi del mondo? Sarebbe anche questa una provocazione.

Quest’anno poi è esistita perfino la mezza stagione, della sparizione della quale tutti ci eravamo fatti una ragione, come del fatto che qui una volta era tutta campagna. Eppure abbiamo avuto una lunga primavera temperata, tiepida, fresca, della quale, manco a dirlo, tutti si lamentavano: “ma quando viene il caldo?”. E’ venuto, neanche tanto, e adesso tutti si lamentano: “non se ne può più di questo caldo”. Tra un mese che faranno? Il GR2 delle sei e mezzo di ieri mattina aveva tra i titoli “emergenza caldo”. Mi domando: se invece di allarmare avesse titolato “finalmente è arrivato il caldo” avrebbe meglio disposto gli italiani ad affrontare la giornata? Forse l’avrebbero presa per una provocazione.

Stanno già tutti lì col telecomando del condizionatore; meglio 20 gradi o 21? Per raffreddare più presto bisogna mettere il simbolo del ghiacciolino o quello della gocciolina? Fare presto è essenziale. E’ inaccettabile che ci vogliano più di dieci minuti per rinfrescare l’ambiente (non aprite le finestre! una ventata d’aria troppo fresca potrebbe uccidervi). Dobbiamo chiamare il tecnico.

Non ne scrivo per puritanesimo, morigeratezza di costumi e consumi o per solidarietà col buco nell’ozono. Lo scrivo perché sembriamo oramai geneticamente incapaci di convivere con la natura, che è come essere incapaci di convivere con la vita. Col clima, che 300 giorni l’anno non è così cattivo e potremmo goderne invece di lamentarcene. Con gli eventi estremi: se avevamo programmato di partire la vigilia di Natale alle 5 del pomeriggio, neanche un metro di neve può indurci a recedere dall’attraversare l’Appennino, e ce la prendiamo con l’ANAS o col governo. O con i segni del tempo, le rughe, l’adipe. O per gli alimenti. Non accettiamo più che ci sia un tempo dell’anno nel quale il tal frutto non si trovi e siamo già circondati di pesche e albicocche precocissime e perfettissime, delle Lolite d’albicocche. Anche perchè, per 7 Euro al kg, ci manca solo che abbiano una macchiolina o il gusto un po’ diverso dalla zucchina.

Sembriamo oramai pretendere di vivere in una irreale, impraticabile e solo teorica perfezione, con un clima cristallizzato e costante, con un corpo fotografato su com’era a 20 anni, non il nostro, ma quello di un modello al quale non siamo mai assomigliati. Consideriamo libertà poter mangiare arance d’agosto e albicocche a Natale o tenere il riscaldamento acceso per non metterci un maglione o l’aria condizionata a tutta per non levarci la giacca.

Voler un corpo diverso, un clima diverso, cibi diversi, ovviamente un portafogli diverso, ci causa un’ansia terribile. Ma forse non è colpa del clima. Forse vorremmo solo una vita diversa, ma cambiarla, anche solo di poco, ci sembra così difficile che un telecomando sul quale stabilire con certezza quanti gradi ci sono nella nostra stanza è l’unico delirio di onnipotenza che ancora ci è concesso.