«A sparare è stato un italiano…»

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«A sparare è stato un italiano di 36 anni», si sente in obbligo di spiegare -probabilmente senza malizia- il titolista di Repubblica online. Ma in quella spiegazione, totalmente fuori contesto eppure così significativa, c’è il pozzo senza fondo di un paese impiccato, dal quotidiano più venduto al TG più visto fino all’ultimo bar di periferia, alla logica del “noi e loro”. È la logica dell’aver accettato di introiettare nella cultura stessa del paese il fiele di chi pretende -incassando dividendi- di attribuire ogni cosa non a chi l’ha commessa ma ad una razza, una cultura, un colore.

È significativa l’immigrazione rispetto alla crisi strutturale del modello economico vigente? È significativa rispetto ad un conflitto lavorativo e ad un gesto violento di un lavoratore licenziato? È possibile che mezzo paese faccia una bandiera del rifiutare qualunque tipo di integrazione? È possibile che mezzo paese si senta oltraggiato dall’idea che i compagni di scuola dei propri figli possano essere uguali ai loro?

È possibile che perfino gli stupri, perfino la follia, come nel caso di Niguarda, debbano avere un colore e che tale colore possa essere strumentalizzato per campagne d’odio? È possibile che sia necessario specificare che l’assassino è italiano quasi come un’attenuante culturale mentre se l’assassino è ghanese o rumeno questa è un’aggravante per l’allarme sociale che il suo gesto individuale crea? È possibile che tutti, destra e sinistra, di fronte ad alcuni reati comuni, commessi indifferentemente da italiani e stranieri, guardino con speranza all’origine del delinquente, i primi per lasciar sfogare la loro foia di odio, i secondi per tirare un sospiro di sollievo?

È possibile che l’agenda pubblica di questo paese sia da vent’anni incatenata -legittimandola- alla turba mentale dei razzisti che ogni volta che incontrano un essere umano stanno a misurarne i tratti somatici, il colore della pelle, l’accento, per poi scaricarvi contro la loro frustrazione? È possibile non vedere chi capitalizza giorno per giorno i dividendi politici di queste campagne d’odio in termini di conservazione sociale? Son passati molti anni da quando l’MSI faceva campagne allo slogan «prima gli italiani» e un po’ meno dal retorico fardello dell’uomo bianco dell’«aiutiamoli a casa loro» leghista. Oggi -dopo vent’anni di nessuna integrazione- tutti i veli sono caduti. Le classi dirigenti non hanno redistribuito tra italiani e non hanno aiutato nessuno a casa loro. Hanno continuato ad usare l’immigrazione -fomentando odio, livore, dolore, ingiustizia- per sviare l’opinione pubblica dal prendere atto che il loro unico progetto è dividere le classi popolari nazionali e immigrate, che hanno esattamente gli stessi interessi e sono artificialmente tenute da due parti diverse della barricata, per continuare a imperare.

Fino a quando non avremo messo in un angolo, completamente delegittimato, messo a tacere -perché il razzismo NON è libertà d’espressione- ogni laido livore, ogni strumentalizzazione, ogni sillaba pronunciata dai nostri ku-klux-klan in camicia verde o nera per coprire gli interessi dei colletti bianchi, non riusciremo neanche a cominciare a parlare d’integrazione. E senza integrazione questo paese non si salverà mai.