Venezuela, la destra torna golpista?

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Mentre tutte le organizzazioni internazionali, dall’Unione Europea all’Unasur a Mercosur, certificano la correttezza del risultato elettorale venezuelano e Nicolás Maduro riceve le felicitazioni anche di governi di destra, come quello cileno o quello messicano, la civilizzazione della destra venezuelana, un processo lungo dieci anni, va a gambe all’aria e apre uno scenario nuovamente eversivo con decine di episodi di violenza.

Henrique Capriles ha atteso la notte per invitare i suoi alla calma dopo aver gettato benzina sul fuoco per tutto il giorno con dichiarazioni di crescente gravità e già si prepara la giornata campale di domani quando tutte le destre marceranno alla sede del Consiglio Nazionale Elettorale per protestare contro il risultato elettorale. Le classi agiate sono tornate a manifestare nella piazza Altamira, simbolo della destabilizzazione nel primo lustro dell’era Chávez. Manifestano con un cacerolazo, battendo pentole che mai per loro sono state vuote. Intanto sono segnalati decine di atti di violenza contro media pubblici (per i quali né la SIP né Pigì Battista si scandalizzeranno), contro sedi del PSUV (almeno tre sono state bruciate), soprattutto contro poliambulatori pubblici (i CDI) a caccia di medici cubani ai quali fino a ieri Capriles stesso (che nel 2002 durante il golpe guidò l’assalto all’ambasciata dell’Avana) prometteva la cittadinanza e che oggi vengono dai suoi minacciati di morte. Dopo avere per anni finto di farsi piacere il sistema sanitario pubblico messo in piedi da Chávez con l’appoggio solidale di Cuba, anche perché per aumentare il proprio consenso verso classi non benestanti, la permanenza del sistema sanitario pubblico e gratuito garantito dai cubani era essenziale, ecco che l’odio malcelato della destra per i diritti fondamentali, torna a sgorgare spontaneo.

Per qualcuno il quadro di contrapposizione frontale è desiderabile, chiarificatorio, militante, rivoluzionario. Per chi scrive il clima di scontro permanente impedisce il continuare la crescita riformatrice intrapresa certosinamente negli anni di Chávez e l’affrontare mali storici ancora da intaccare. Il nemico alle porte potrebbe essere il pretesto per non fare i conti, dall’interno del processo rivoluzionario, su lassismo, inefficienza, corruzione. È desiderabile -per tutti- che la destra venezuelana, sbollita la rabbia per la sconfitta di misura, accetti il risultato attestato da tutte le entità di osservazione e permanga nel solco della legalità e delle basi costituenti partecipative della V Repubblica. Altrimenti sarà evidente per tutti (gli intellettualmente onesti, ovvio) che quella maschera del Capriles progressista, autonominato erede politico di Lula da Silva, fosse pura propaganda decisa da qualche spin doctor illusionista sbarcato dal Nord.

I risultati definitivi indicano che la vittoria di Nicolás Maduro è stata legittima e chiara, con una differenza di 235.000 voti, oltre il doppio -per capirci- della differenza tra centro-destra e centro-sinistra in Italia, circa il quintuplo considerando il differente numero di votanti. Come chi scrive ha più volte rilevato i sondaggi di entrambe le parti erano fasulli, inservibili prima e tanto più inservibili ora per fare valutazioni sul voto. Il pensare in un trionfale travaso di voti da Chávez a Maduro si è poi rivelato una pericolosa illusione alla quale in molti hanno credito con irresponsabile superficialità. Da oggi Maduro, che ha davanti non sei ma tre anni per convincere i venezuelani, dovrà scegliere, innovare, governare, trasformare, oppure perire nell’imitazione del grande dirigente del quale si dichiara figlio.

C’è un dato infatti che non può essere eluso da nessun osservatore. Rispetto all’ottobre 2012, quando il fuoriclasse Hugo Chávez aveva vinto di 1.6 milioni di voti, Capriles ha guadagnato 680.000 voti e il candidato del PSUV ne ha persi 685.000, uno ogni undici. È un travaso di voti perfetto in un sistema rigidamente bipolare. Anche considerando altri flussi minori tra voto e astensione possiamo affermare che almeno mezzo milione di elettori che avevano votato Chávez in ottobre hanno dato questa volta credito all’opposizione. Li ha persi Maduro, che ha scelto di appiattirsi sulla continuità oppure il PSUV (forse il parto più difficile e sofferto dell’era Chávez) senza il leader storico è già in crisi di legittimità? Li ha guadagnati il Capriles che si atteggiava a progressista e potrebbe già riperderli riprendendo in queste ore il volto della destra rancida, nemica dei diritti ed eversiva? O infine lo spostamento, comunque di pochi punti percentuali, è un fatto non sostanziale in un contesto da sempre polarizzato? In Venezuela si fa politica, ed è un bene prezioso.

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