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Addenda a "Contro il 25 aprile identitario"

5maggio-capi [1] Chi offende [2] di più il senso del 25 aprile? Silvio Berlusconi che comprende i “ragazzi di Salò”, lugubre espressione inventata da Luciano Violante, e riceve il fascista mai pentito Ciarrapico? O forse quei fascisti con le bandiere rosse che anche ieri hanno insultato i combattenti della “Brigata ebraica”?

Sono due facce della stessa medaglia, l’ignoranza colpevole che dilaga in questo paese, l’alienità di troppi alla storia della democrazia, la volontà, soprattutto da destra ma purtroppo anche da sinistra, di torcere il braccio alla storia e svuotare non solo il 25 aprile ma la democrazia che del 25 aprile è figlia.

Chi sono gli uomini nella foto? E’ giusto ripassare.

Sono gli uomini del comando del Corpo Volontari della Libertà che sfila a Milano liberata il 5 maggio. Il primo da sinistra è Mario Argenton, militare e rappresentante del Partito Liberale Italiano. Al suo fianco c’è Giovanni Battista Stucchi, alpino in Russia, dove aderisce al Partito Socialista per divenire capo delle Brigate Matteotti. Poi c’è Ferruccio Parri, in Giustizia e Libertà con Rosselli, del Partito d’Azione, confinato per mezzo ventennio e poi primo capo del Governo nominato dopo il 25 aprile. Quindi c’è Raffaele Cadorna, militare di carriera, monarchico, che si paracaduta al nord su ordine di Montezemolo, poi caduto alle Ardeatine. Al suo fianco c’è Luigi Longo, comunista, il più stretto collaboratore di Palmiro Togliatti, garibaldino in Spagna, decorato al valore perfino dagli statunitensi, e poi segretario generale del PCI, dopo Togliatti e prima di Berlinguer. Infine c’è Enrico Mattei, sì, proprio lui. Democristiano, fondatore dell’ENI e fatto ammazzare dalle sette sorelle del petrolio.

Questa è la nostra foto di famiglia. Comunisti e liberali, azionisti e democristiani, cattolici e laici, repubblicani e monarchici, insieme riuniti nell’antifascismo. E continueranno a stare uniti finchè sarà necessario, nella Costituente, per garantire la scrittura comune della nostra convivenza civile, la Costituzione repubblicana. E anche quando si saranno giustamente divisi, ma solo politicamente, la Costituzione nata dalla Resistenza continuerà a garantire tutti. Per esempio quando Pio XII pretese che Alcide de Gasperi illegalizzasse il PCI e il capo della DC seppe dire di no al papa.

E’ nato prima l’uovo o la gallina? Sono state prima le destre a rifiutare il 25 aprile, oppure una parte delle sinistre ad appropriarsene in modo identitario [2]? Qualunque partigiano, qualunque costituente di questo paese rifiuterebbe una domanda così inappropriata. E la verità è che, qualunque sia la risposta, comporta lo svuotamento di quel senso costituente che è alla base dell’idea del 25 aprile. La Resistenza l’hanno fatta insieme i padri di questa democrazia e l’imberbe pretesa di farne una festa rossa, una festa identitaria, escludendo gli altri, per esempio contestando la partecipazione del sindaco di Milano Letizia Moratti [3], o la Brigata Ebraica, oppure facendone una rivincita per sconfitte elettorali che hanno ben altra collocazione e portata, storica e politica, è patologica e patogena.

Patologica perchè testimonia l’alienità di chi la esprime alla storia patria e forse anche dalla democrazia. Il 25 aprile sarebbe stato una festa rossa se Togliatti non avesse compiuto la svolta di Salerno e poi fosse stato capace di vincere la guerra da solo, come Tito. Ed è patologico pensare che “solo noi” si incarni la democrazia.

Patogena perchè favorisce il rifiuto del 25 aprile da parte di più soggetti, quasi mai fascisti e affini che si escludono da soli. E’ quella massa di opinione pubblica blandamente interessata alla democrazia come partecipazione e al 25 aprile come momento fondativo, ma che deve essere cooptata in questa per restituire al 25 aprile il suo significato originale. Perchè mai un elettore dell’UDC o del PDL dovrebbe voler sfilare tra sole bandiere rosse, usategli oltretutto contro come clava, magari per ricordare il partigiano Enrico Mattei? Poteva per esempio Gianfranco Rotondi, eletto nelle liste del PDL, sfilare ieri nelle piazze con una bandiera del suo partito senza essere contestato? Eppure fu Gianfranco Rotondi che appena nell’ottobre scorso [4] rigettò la proposta di legge presentata da Luca Volontè dell’UDC di introdurre il reato di “apologia del comunismo” con un ineccepibile “il comunismo italiano non ci ha negato la libertà, ma ce l’ha portata col sangue dei partigiani”.

Non ci vuol molto a capire che una festa rossa include i rossi mentre una festa nazionale include tutti. E tutti, anche gli alieni alla democrazia, o quelli che pensano che la libertà indefinita ne sia sostitutiva, traggono alimento da una festa condivisa, mentre sono liberi di ignorare, come fa Berlusconi, una festa di parte. Ciò perchè solo da una memoria comune può rafforzarsi una comunità di storia e di valori. A questo servono le feste nazionali. Altrimenti è meglio abolirle.