La rosa (bianca) rubata – Maurizio Chierici

Rubare un fiore ormai non è reato. La morale si adegua al marketing della modernità. Nell’Italia politica dei Dini e dei Mastella, viados alla ricerca del marciapiede d’alto bordo; o dei Cuffaro, Previti, Dell’ Utri, insomma, gente così, il peccato sembra veniale e nessuno se ne meraviglia. Purtroppo c’è chi insiste nel brontolare con la malinconia del sopravvissuto a una morale trascurata: non si rassegna alle mani lunghe dei nostri tempi. È successo a Milano, qualche sera fa, fondazione Lazzati, Corsia dei Servi. Nel presentare il saggio di Paola Rosà, Willy Graf – Con la Rosa Bianca contro Hitler, prefazione commossa di Moni Ovadia, la piccola casa editrice Il Margine distribuisce due foglietti. E li distribuisce in ogni città dove si parla del libro: Novara, Brescia, Rovereto. Continuerà; non si rassegna. La gente deve sapere.

 

«Va bene che la rosa e il bianco non sono marchi brevettati – è un po’ la rabbia di Paola Rosà e Paolo Ghezzi (autore de La Rosa Bianca, gruppo di resistenza nel nome della libertà e Sophie Scholl e la Rosa Bianca) – ma i parlamentari dell’Udc Baccini e Tabacci hanno esagerato, usurpando un nome storico per battezzare il loro gruppo politico col nome del gruppo di studenti ghigliottinati dai nazisti nel 1943 per aver stampato e diffuso sei volantini contrari al regime. Cosa c’entra il neocentrismo moderato con la gloriosa storia del radicalismo resistenziale? Invitiamo il senatore Baccini e l’onorevole Tabacci a ripensarci, visto che non sembra vogliano candidarsi all’eroico martirio». Anche perché dall’Ottanta esiste un’Associazione Nazionale Rosa Bianca, sigla depositata, presidente Grazia Villa la quale apprende «con stupore la notizia del possibile utilizzo del nome Rosa Bianca per la costituzione di un nuovo partito. La nostra è una storia di incontri, convegni, azioni politiche e culturali stratificate nel corso di 27 anni».

Hanno creato un’identità nella quale si riconoscono migliaia di persone legate dal «comune sentire fin dall’inizio ispirato alla memoria pericolosa della Weisse Rose: cristianesimo libero e fedele dei giovani antinazisti. La loro resistenza interiore trasformata in azione politica non violenta, il coraggio di seguire la propria libertà di coscienza, l’assunzione di responsabilità fino al martirio, continuano ad essere gli ideali sui quali cresce la nostra attività. Confidiamo che si tenga conto della possibile confusione, proprio oggi, mentre viene auspicata da parte di tutti, anche dai promotori della nuova formazione, una maggiore trasparenza “fiore di speranza per la politica italiana”». Ultime parole del duo Baccini-Tabacci, propensi al “tanto chi si ricorda”. Invece ricordano. Ricorda Vincenzo Passerini, presidente del Margine, casa editrice di nicchia: «Per 30 anni non abbiamo osato usare il simbolo della Rosa Bianca per fare politica». Molti di loro ne sono protagonisti. Anche Passerini ha un passato da consigliere delle province autonome Trento-Bolzano, base Lega Democratica e La Rete. Senza contare i corsi di formazione che alla fine di ogni agosto raccolgono i giovani con lezioni ispirate all’etica che non accetta compromessi; insegnamenti della Rosa Bianca analizzati da David Turoldo, Camillo Dal Piaz, Paolo Giuntella, Ermanno Gorrieri, Scoppola, Prodi, Ardigò, Veltroni, D’Alema, Martinazzoli, Rosy Bindi, Angela Finocchiaro, Nino Andreatta, Alexander Langer, Roberto Ruffilli, Luca Orlando, Franco Monaco, Nando dalla Chiesa, Adornato, eccetera. Elenco disperso nel tempo, generazioni di giovani invitate ad affrontare la vita pubblica senza le ipocrisie e i tatticismi compagni di viaggio delle vanità Italia 2000. E i ragazzi tornano nelle loro città: diventano sindacalisti, politici, cooperanti magari ispirati dall’innocenza che i protagonisti della Rosa Bianca allungano ai nostri giorni. Nell’incontro di Milano, Anneliese Knoop-Graft, sorella minore di Willi, ascolta la storia dello strano «furto» e scuote la testa. Ha 87 anni e non riesce a capire come il sacrificio di un gruppo di credenti possa trasformarsi nella griffe per allodole politiche.

Per chi non ha letto i libri o visto il bellissimo film, ecco la storia dei veri protagonisti Rosa Bianca. Sophie Scholl viene giustiziata a 22 anni. Dopo la maturità lavora come maestra d’asilo e studia a Monaco città della quale è ospite il fratello Hans che ha lasciato disgustato la gioventù hitleriana: galera e poi università. Incontra fra i banchi Alexander Schmorell e Willi Graft. Non sopportano la violenza settaria del nazismo. Nasce la Rosa Bianca, scrivono e stampano i primi quattro volantini. Assieme partono per il fronte russo. Al ritorno tentano un collegamento con la resistenza berlinese. Scholl viene arrestato assieme alla sorella mentre distribuiscono manifestini. Tortura e ghigliottina. Dopo la caduta dei due fratelli, Schmorell prova a scappare in Svizzera, ma un’amica lo tradisce: per lui è finita. L’odissea di Willi Graft comincia presto: arrestato per l’appartenenza all’Ordine Grigio, giovani cattolici illusi di poter restare lontani dall’isterismo delle associazioni hitleriane. Ritrova Monaco dopo la Russia. Assiste alla stesura degli ultimi due volantini e viene arrestato con la sorella Annelise, proprio la vecchia signora invitata in Italia dalla Rosa Bianca pre Baccini-Tabacci. Ricorda le ultime parole di Willi condannato a morte, seviziato per settimane e poi decapitato il 19 aprile 1943. Due mesi prima era stato giustiziato (definizione rivoltante) un loro insegnante. Professore di filosofia e musicologia all’università, Kurt Huber non faceva mistero dell’avversione al nazionalsocialismo. Lezioni frequentate dai ragazzi della Rosa Bianca. Huber aveva scritto il quinto e il sesto volantino. La moglie e due figli restano abbandonati.

Difficile cucire queste vite trasparenti alle carriere politiche della Rosa Bianca partitica, made in Italy due. Baccini è cresciuto alla scuola romana di Antonio Gerace (detto er Luparetta), famoso per storie dalla trasparenza strapazzata, soprattutto per essere venuto quasi alle mani in Campidoglio col socialdemocratico Robinio Costi mentre si stava decidendo se concedere o non concedere la licenza di un chiosco. Anni della Roma andreottiana, tangenti e verde saccheggiato da costruttori d’assalto diventati rispettabili man mano che allargavano palazzi e potere. Roma dello squalo Sbardella, grondante avvisi di garanzia. Ricorda Jacopo Iacoboni, sulla Stampa, il Baccini che si defilava mormorando: «Ce sto ma nun me faccio vede’ troppo». Col Polo della Libertà si è fatto vedere per quattordici anni: chissà per quale background sottosegretario agli esteri, più adatto come ministro della funzione pubblica essendosi irrobustito politicamente nelle reti delle burocrazie. Tabacci è diverso. Viene dalla provincia mantovana, concreta e attenta ai numeri dei capitani d’industria: Colaninno, Marcegaglia. Ha attraversato i giardini degli imprenditori che contano: Parma, Milano, Brescia. C’è chi millanta la sua amicizia nel comprare terreni e costruire supermercati. Tabacci non lo sa e non se ne può dargli colpa. Bisogna dire che assieme a Baccini ha a lungo meditato sull’inesistenza del conflitto di interessi, riforme giudiziarie, legge elettorale porcellum. Con introspezioni diverse. Tabacci si dissociava in Tv ma si rassegnava a votare in sintonia con Giovanardi mentre Baccini votava non facendosi vedere. Bisogna riconoscere il coraggio di una decisione che taglia col Cavaliere mentre i corridoi delle alleanze sono in subbuglio.

Chi va, chi viene, chi torna. E loro, decisi: adesso basta, ecco la Rosa Bianca. Ma proprio quando la vocazione all’indipendenza è finalmente maturata, per quale ragione appropriarsi di un nome che ha un’altra storia? Diciamolo: Pezzotta non assomiglia al professor Huber anche se il filo della devozione lo accompagna nelle interviste o durante i raduni Papa e Family Day. «Noi siamo un luogo aperto di ispirazione cristiana. Parliamone, ma presto». Insomma, i protagonisti della Rosa Bianca made in Italy ricordano pochissimo i protagonisti silenziosi della vera Rosa Bianca. All’università di Tubinga, 4 novembre 1945, mesi dopo la fine della guerra, il teologo Romano Guarini ha sottolineato l’umiltà del sacrificio dei giovani e del loro professore: «Hanno misurato le azioni sull’onesta, sulla chiarezza, sul silenzio, virtù poco appariscenti ma faticose e fondamentali nella vita di un credente. La virtù del coraggio che abbandona il terreno protetto ed esce all’aperto perché sente una chiamata; la forza di cominciare che rinuncia alle cose conosciute e ne osa di nuove».

Guarini era un teologo nato a Verona ma cresciuto in Germania. I nazisti gli strappano la cattedra a Berlino dove ritorna con la fine del regime. Il giovane don Joseph Ratzinger lo seguiva con attenzione. Sfogliando la sua commemorazione, si resta ammirati dell’ardire dei quattro politici che oggi ne vogliono indossare la memoria. Come può essere nata l’improprietà dell’idea? Si diceva sempre cosa bianca, così fan tutti, ma era la copertura provvisoria dei lavori in corso. Bisogna dire che anche terzo polo non suona bene: aria di una gobba inutile da quando Galileo ha raccontato del polo nord e del polo sud che ruotano. Con l’obbligo di mantenere l’aggettivo «bianco» dovevano inventare qualcosa ritoccando la cosa. Le consonanti utilizzabili sono appena due: la “r” di rosa e la “t” di tosa, ma presentarsi col partito della Tosa Bianca poteva suscitare equivoci nel ricco nord est. Senza contare la delusione di chi pretende la novità urgente di una morale che non rimastichi vecchie promesse. Non per i brontoloni del Margine o per l’inquietudine degli autori impegnati a scavare il sacrificio dei giovani tedeschi, ma Pezzotta, Baccini, Tabacci devono augurarsi che il paragone con la Rosa vera non li rimpicciolisca agli occhi di chi vorrebbe votarli. Vendere una cosa per un’altra può essere controproducente. Ricordo la delusione di tre famiglie italiane, viaggio in camper fra i parchi California-Nevada. Padri, madri, ragazzi. Sfogliando la mappa di Reno (vice capitale del gioco dopo Las Vegas) cercavano il «chiosco delle sorelle di Santa Chiara», immaginando un monumento dimenticato dalla colonia spagnola. Appena arrivati, hanno capito: posto per soli adulti abitato da signore operose di piccola virtù. Addio a Reno per sempre.

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