Gianni Minà: questo calcio italiano, così corrotto e perdente

Il conferimento al giocatore Cristiano Doni del titolo di “cittadino benemerito della città di Bergamo.

Il Manifesto, 5 giugno 2011 – Il nuovo scandalo scommesse, che atterra una volta di più il nostro asfittico calcio, conferma la vulnerabilità attuale della società italiana, incapace, anche nei settori come lo sport che dovrebbero essere più etici, di rispettare le regole, di “giocare pulito”, insomma di essere onesti.
Probabilmente scontiamo l’influenza nefasta di vent’anni di rapporti non sempre trasparenti fra le istituzioni e i cittadini, vent’anni ben rappresentati dal potere egoista e molesto di Berlusconi. Una stagione nella quale molti hanno creduto e credono di poter agire fuori da ogni rispetto delle leggi, di poter violare ogni regola di convivenza, tanto poi non succede nulla e chi è più spregiudicato alla fine non rischia pene.

Nell’immagine il conferimento al giocatore Cristiano Doni del titolo di “cittadino benemerito della città di Bergamo.

E’ vero, le scommesse clandestine, l’esercizio di aggiustare il risultato di determinate gare con la convivenza di alcuni giocatori definiti “mele marce” (anche se spesso erano definite bandiere dai nostri retorici club) inquinavano il mondo del pallone italico già venticinque anni fa. Non a caso società come Lazio e Milan finirono retrocesse in serie B per partite concordate e vendute nel tentativo di favorire le scommesse. Ma è patetico ed emblematico che  questo stato delle cose non sia cambiato, dopo che, come in Inghilterra, le scommesse sono state legalizzate e dopo che il nostro presuntuoso mondo del pallone è diventato ostaggio degli ultras ed è scivolato su prepotenze immorali come il doping chimico e finanziario. Come del resto Calciopoli, il tentativo plateale cinque anni fa di due società, Juventus e Milan, di mettere in piedi con la connivenza dei designatori arbitrali Bergamo e Pairetto un’organizzazione disonesta che controllasse e gestisse arbitri e guardialinee dei campionati di serie A e B.
Insomma, dopo fallimenti politici, economici, tecnici e morali che per conseguenza grottesca hanno visto gonfiarsi e non ridursi il numero dei club partecipanti ai campionati professionistici, dopo la sparizione dalle competizioni europee (salvo l’Inter della stagione scorsa) delle squadre italiane, dopo il fallimento delle nostre candidature ad organizzare gli Europei in Italia bocciati prima di tutto dall’inadeguatezza dei nostri stadi fermi (salvo pochi casi) alla migliorie apportate vent’anni fa per Italia 90, era possibile che il calcio italiano si perdesse nuovamente nella più patetica delle corruzioni.  
Protagonista un portiere di nome Paoloni pronto a farsi del male in modo ridicolo come un giocatore di Oronzo Canà, Lino Banfi nel film L’allenatore nel pallone. Non c’è nemmeno un minimo di logica in questa storia dove pure è coinvolto fino a cancellare il ricordo del suo valore un malato delle scommesse come Beppe Signori .
Il fatto è che un paese dove buona parte della politica è immorale e un’latra parte non sa più guardare in alto ci accorgiamo che è tramontata anche la più elementare cultura sportiva. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove pure il potere dei soldi è il più rispettato, alla fine dei campionati dei licei, vero allevamento dei fuoriclasse del basket e del football sono le squadre terminate ultime in classifica nello stellare torneo professionistico a scegliere per prime i talenti rivelatisi nel campionato dei college. La possibilità di accaparrarsi i migliori per i club più ricchi è aperta solo dalla stagione successiva. Questo avviene per un’elementare regola sportiva che non accetta possa essere sempre il più ricco e potente a vincere. Da noi che giuriamo invece di avere un calcio d’avanguardia, in tempi recenti la vittoria a qualunque costo come ribadito dalle cronache napoletane del processo a Luciano Moggi e al suo seguito, è stata perseguita senza nessun ritegno.
Ancora recentemente per la diatriba su come distribuire duecento milioni di euro di diritti televisivi assicurati ai club dalla sensata legge Melandri si sono viste cinque società, le più ricche ,(Milan, Juventus, Inter, Napoli e Roma) tentare di imporre le loro logiche nella distribuzione con   dichiarazioni di guerra di Galliani, ex vicepresidente vicario della Lega-calcio (oltre che del Milan), contro Maurizio Beretta, presidente uscente della Lega stessa, che quando era stato eletto era stato proposto proprio dal Milan, un club da sempre in conflitto d’interesse visto che il suo padrone Silvio Berlusconi commerciava in prodotti televisivi il principale del quale era proprio il calcio.
Galliani per anni ha elargito elemosine frutto dei diritti televisivi ai club meno abbienti e ora che queste società sono diventate la maggioranza in Lega  e pretendono altre logiche nella distribuzione, il gioco non gli aggrada più. Per fortuna proprio il neo-presidente della Roma, “l’americano” Tom Di Benedetto, ha suggerito ai suoi manager di ricordare alla Confindustria del calcio che, anche se sei il più ricco, non puoi giocare contro te stesso, hai bisogno di incontrare gli altri, anche quelli meno ricchi. E’ la legge dello sport, anche di quello più capitalistico.
Ma vagliele a raccontare queste cose a un tipo d’ imprenditore, quello che attualmente arriva al calcio normalmente digiuno di esperienza sportiva e capace di parlare solo di marketing.     Un imprenditore che in questi anni di arricchimento con le risorse assicurate dai diritti televisivi, non è riuscito però, salvo la Juventus, ad assicurare alle proprie squadre nemmeno uno stadio di proprietà al contrario di quasi tutti i club europei.
In un panorama come questo non è un caso forse che un calcio poco attento ai valori dello sport e all’etica produca nuovamente la piaga delle scommesse illegali. E’ inquietante, per esempio la notizia che Doni, bandiera dell’Atalanta sfiorato da questa storia delle scommesse, pochi mesi fa sia andato a visitare assieme ad alcuni compagni due ultras agli arresti domiciliari.
Io so che il calcio attuale da l’illusione dell’onnipotenza ma penso che qualcuno dovrà pur dire a questi ragazzi che il loro mestiere finisce presto e poi bisogna affrontare la vita difficoltosa di tutti gli altri esseri umani, non abili come loro a palleggiare un pallone.

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