Vittorio Arrigoni era già stato minacciato di morte

Vittorio Arrigoni, il cooperante sequestrato a Gaza e che ci invita in ogni post del suo blog a “restare umani”, era già stato minacciato di morte. Ma non da chi si suppone lo abbia sequestrato oggi.

Immediatamente dopo la notizia del rapimento di Vittorio Arrigoni, l’unico cooperante italiano residente a Gaza durante i sistematici bombardamenti israeliani di fine 2008 inizio 2009, la Rete, come spesso avviene, ha cominciato a dare il meglio e il peggio di sé.

Il meglio, battendo sul tempo un sonnacchioso mainstream e ricordandoci per esempio che da due mesi il Ministro degli Esteri Franco Frattini, in buona compagnia con tutta la nostra stampa, è del tutto indifferente alla sorte di Sandra Mariani, cittadina italiana che si presume rapita da Al Qaeda in Algeria.
Il peggio, con l’insistente diffusione di quello che allo stato, e senza alcuna fonte in merito, non può non essere che un pregiudizio antisraeliano. Vittorio, secondo tale pregiudizio, non sarebbe stato rapito da estremisti palestinesi, pregiudizialmente buoni, ma da “sionisti”, pregiudizialmente cattivi, per colpire Arrigoni, l’amico dei palestinesi che col suo pervicace stare a Gaza e con la gente di Gaza ci invita –fu anche il titolo di un suo libro pubblicato da Manifestolibri- a “restare umani”.

Tuttavia, nonostante il tam tam della Rete non appaia fino a prova contraria suffragato da alcun fatto, è utile ricostruire alcuni episodi del percorso di solidarietà di Vittorio Arrigoni e di chi in questi anni ha cercato di fermarlo. Vittorio Arrigoni è stato arrestato almeno due volte, una prima nel 2008 quando fu fermato insieme ad una decina di pescatori palestinesi nel tentativo di rompere l’embargo contro Gaza e una seconda volta lo scorso anno, nell’ambito del caso Freedom Flotilla. Non è stato però in queste due circostanze che Arrigoni ha fatto parlare di più di sé. Con l’inizio dei bombardamenti a Gaza a fine 2008, il blog di Arrigoni divenne improvvisamente l’unica fonte giornalistica ad informare da Gaza in un momento in cui nessun giornalista “professionale” aveva accesso alla Striscia. Il sito di Arrigoni, fino a quel momento non particolarmente famoso, divenne per molte settimane, secondo Blogbabel, il blog più letto e citato in Italia, superando addirittura quello di Beppe Grillo, all’epoca all’apice del successo, offrendo un esempio di come il giornalismo partecipativo potesse offrire un riequilibrio rispetto ad un mainstream che non poteva e forse non voleva informare davvero su quanto avveniva a Gaza.

Non ci volle molto perché Vittorio Arrigoni, un pacifista, un nonviolento, volontario sulle ambulanze che soccorrevano i feriti dei bombardamenti, fosse individuato non solo come un presunto estremista, ma addirittura come il primo bersaglio da colpire, per evitare che informazione indipendente filtrasse da Gaza. Dal sito http://stoptheism.com/, che fa riferimento all’ultradestra statunitense filoisraeliana e che ha come scopo dichiarato individuare i nemici islamici di Israele e degli Stati Uniti, Vittorio Arrigoni veniva apertamente indicato come il primo nemico da uccidere (sic) in quanto terrorista e sostenitore di Hamas. Con lui, bersagli numero 2 e numero 3, altri due attivisti occidentali della sua stessa ONG. Sul sito gestito da tal Lee Kaplan, venivano pubblicate foto di Arrigoni, indicate generalità e vari dettagli personali atti a rintracciarlo e, oltre all’invito all’omicidio, rivolto in particolare a Tsahal, l’esercito israeliano, veniva fornito un numero di telefono statunitense dove fornire informazioni utili per poter assassinare il cooperante italiano.

All’epoca, soprattutto per l’azione dell’attivista italiana Annalisa Melandri, blogger a sua volta, il sito venne oscurato. Ad oggi è di nuovo regolarmente online con i suoi messaggi di fanatismo uguali e contrari. Vi si inneggia tra l’altro alla morte del pacifista italiano Angelo Frammartino, di 24 anni, ucciso nel 2006 da un aggressore palestinese. La morte di Frammartino sarebbe stata, per chi considera Vittorio Arrigoni un terrorista da eliminare, un esempio di “giustizia poetica”.