Belén Rodríguez

Ieri tutti i giornali si affannavano a dare addosso alla volgarotta bellezza rioplatense Belén Rodríguez. Questa è stata scaricata dalla TIM, alla quale aveva da mesi prestato natiche e tette per una campagna pubblicitaria disarmantemente scadente, come mille altre che si vedono nel panorama televisivo italiano. E’ noto che, invece di puntare sul prodotto da smerciare, tali campagne sono costruite su inquadrature ai limiti della pornografia sul corpo della testimonial del marchio tanto che le stesse natiche e gli stessi seni, sempre disponibili nella pura logica produttiva del “just in time”, possono alla bisogna vendere un’automobile, un cellulare, un detersivo. Geniali “creativi”, no?

Ancora una volta mi pare che la logica semplificatoria dei giornali nel prendersela con l’immagine della Rodríguez (e de Sica no?) non abbia colpito nel segno sulla insostenibilità di un intero settore quale quello pubblicitario. Lo hanno fatto in buona fede (almeno superficiali allora) o in mala fede individuando nella soubrette (?) argentina solo un capro espiatorio per non indicare il vero problema: la volgarità, l’insipienza, la malafede e la corruzione dei costumi di un mondo pubblicitario sempre più stantio e convinto nella ripetibilità all’infinito dello stesso format.

Mi piace pensare allora che la decisione della TIM di prescindere da quella campagna, che pure aveva commissionato e scelto, individui un primo segnale di una crisi di rigetto da parte del pubblico. Per quanto tempo creativi e marchettari possono pensare di piazzare un prodotto, che magari costa il doppio della concorrenza, vendendo, attraverso il corpo di una donna, solo un marchio, un’emozione, uno pseudo status prescindendo dal prodotto stesso? Mi piace pensare che abbiano tirato troppo la corda e che questa inizi a sfibrarsi.