Cristina Fernández de Kirchner e la ferocia dei neoliberali

NA01FO01Ascolta il dibattito alla Radio Svizzera con Gennaro Carotenuto sulle elezioni in Argentina.

Cristina Fernández è stata eletta Presidente della Repubblica Argentina con un comodissimo 44% dei voti. Al secondo posto, Elisa Carrió con il 21% e terzo per l’ex-ministro dell’economia di Nestor Kirchner, Roberto Lavagna, con il 19%. Carrió avrebbe vinto a Buenos Aires e a Santa Fe e Lavagna a Cordoba. In tutto il resto del paese ha vinto Cristina.

Dunque come previsto, Cristina sarà presidente e il 10 dicembre si installerà alla Casa Rosada come titolare e non solo come primera dama.

Che una elezione presidenziale diretta si concluda al primo turno è insolito ed è segno di forza di chi vince. Che si concluda con il doppiaggio da parte di chi vince sul secondo classificato è un evento straordinario, anche se in America latina è successo ultimamente con Rafael Correa in Ecuador (e quasi a Chávez in Venezuela, 63 contro 36). Questa è la cifra e mostra come le classi popolari stanno esprimendo sempre più spesso maggioranze sgradite alle classi medio alte. E’ ciò meno democratico di un modello nel quale sono eletti i candidati espressi dalle classi dirigenti?

Eppure, al GR1 delle 8, il Prof. Giuseppe Sacco della Luiss, in un’intervista particolarmente critica e tutta tesa a sminuire il successo di Cristina ha concluso: “e consideriamo che la seconda ha preso ben un quarto dei voti!”. Fischia, professore!

Subito dopo chi scrive era impegnato in diretta in un dibattito alla Radio Svizzera che si può ascoltare qui. Ne è emersa, specialmente da parte di uno degli ospiti, la confusione più totale tra democrazia e neoliberismo, intesi come sinonimi, e l’incapacità totale di fare autocritica da parte degli economisti neoliberali.

Nessuno sostiene che il kirchnerismo abbia risolto tutti i problemi dell’Argentina né molto meno fatto la rivoluzione. Ma rispetto al fallimento etico ed economico del neoliberismo, e le migliaia di morti per fame (o li abbiamo già dimenticati?), la svendita totale del paese, la disoccupazione al 42% in termini reali, la povertà diffusa e la dissoluzione dello stato sociale con la chiusura di scuole ed ospedali, il kirchnerismo, chiudendo i rapporti con il FMI, che aveva una responsabilità enorme nel causare il disastro, ha messo un punto fermo e da lì si risale. Ma non si risale perché ad un normale ciclo economico in discesa succede un altro ciclo in salita come cercano di millantare i neoliberali impenitenti. Ma si risale perché ad un anormale suicidio assistito di un paese, quale quello vissuto dall’Argentina dal 1955 al 2001, si è gradatamente, moderatamente, incominciato a cambiare modello.

Ma riconoscere questa semplice verità significherebbe fare autocritica. E allora preferiscono dire che se l’economia Argentina cresce a ritmi cinesi non è merito di Kirchner ed anzi la sua politica è dannosa. E mai, mai ammettere, ricordare il disastro neoliberale. Ma gli argentini evidentemente hanno una memoria ostinata, come testimonia il miserrimo 1.4% raccolto dal candidato neoliberale duro e puro, Ricardo López Murphy, già ministro dell’economia di Fernando de la Rúa, l’ultimo presidente fondomonetarista che sarà presto processato per cinque omicidi.

Chi scrive ha provato a dirlo, ovviamente senza risposta da parte del solone neoliberale. Addirittura, e chiudo, è saltata fuori una presunta illegittimità di Cristina. Certo, ha risposto chi scrive, ovviamente senza risposta in questo caso, sarebbe opportuno un ricambio di classe dirigente, per i Kirchner, come per i Bush o i Clinton.

PRIMI NODI DA SCIOGLIERE Vero è che a Cristina servirà soprattutto differenziarsi dal marito Nestor. Dovrà ricordare a tutti che il suo è il primo mandato, e non il secondo di una conduzione familiare, e che quindi merita una luna di miele. Dovrà puntualizzarlo ma senza poter dar colpa al governo uscente. Non sarà facile; soprattutto dovendo dar continuità alla crescita economica e sostanza alla riduzione delle sperequazioni sociali. Dovrà sedurre e lavorare con l’establishment, ma non inimicarsi la base sociale popolare e di sinistra che la porta alla presidenza. Questa formula, che in campagna viene definita con termini non proprio nuovi come gradualismo e “patto sociale”, vedrà sul terreno sindacale e del potere d’acquisto dei lavoratori un nodo fondamentale da sciogliere. Con l’inflazione che rifà paura, la parte più combattiva della CGT, esige che i salari vengano rivalutati di un buon 30%. E’ un conflitto potenzialmente più esplosivo che contrastare indigenza e denutrizione, in regressione ma lontani dall’essere sconfitti nel paese.

Anche in politica estera la differenziazione dal marito, che iniziò facendo la voce grossa con gli organismi finanziari internazionali fino a rompere con l’FMI, non sarà facile. Se l’amico Hugo Chávez per i paesi ricchi è il diavolo in persona, l’Argentina, che con Kirchner è stata di Chávez l’amico più fedele (tra i grandi soci, senza contare Bolivia, Ecuador, Nicaragua e Cuba), si è via via trovata in una condizione di preoccupante marginalità. Rotti i rapporti con il Fondo Monetario Internazionale, che continueranno con Cristina ad essere pessimi, sarà necessario ripensare la relazione con i grandi paesi europei che in America latina elogiano il Cile, si confrontano con il Venezuela, fanno affari con il Brasile, ma ignorano l’Argentina. Rea, questa, con il default del 2002, di avere messo a rischio, ben più del Venezuela di Chávez, l’architettura del capitalismo finanziario neoliberale, è tenuta in un angolo.

Se Cristina ha già annunciato che non permetterà da parte dell’FMI alcun monitoraggio dell’economia argentina, la palestra scelta da Cristina per opportunamente migliorare le relazioni con i paesi occidentali e differenziarsi parzialmente da Chávez, agli investimenti del quale l’Argentina deve moltissimo, sarà allora probabilmente quella della relazione con l’Iran. Questo paese, probabilmente colpevole di aver ordito l’attentato all’AMIA, l’associazione ebraica dove morirono più di 80 persone, ha relazioni amichevoli con il partner petrolifero Venezuela e con quello gasifero Bolivia, ma non può averli con l’Argentina, proprio a causa di quell’atto terroristico. Continuare nella politica di fermezza per esigere la verità sull’AMIA è pertanto, dal punto di vista della politica estera, un’occasione importante per migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, che hanno sdegnosamente evitato l’Argentina durante il viaggio di George Bush dei mesi scorsi.
Da quel punto di vista molto potrebbe un’eventuale elezione di Hillary Clinton a fine 2008. Le grandi analogie tra le due donne (entrambe brillanti mogli di ex-presidenti) potrebbero profilare una sorta di diplomazia femminile volta a superare le differenze tra i due paesi. Quel ch’è certo è che se Cristina ha già cercato un incontro con Hillary questa se n’è per il momento sottratta. Sul piano regionale, considerato strategico il Mercosur, e ineludibili le relazioni con il Venezuela ed il Brasile, dovrà essere superato il conflitto per le cartiere che l’Uruguay sta costruendo e che si trascina oramai da tre anni. Al momento è facile che l’Argentina faccia un passo indietro riconoscendo il buon diritto (neoliberale) dell’Uruguay a completare l’opera ed inquinare la regione senza che all’Argentina venga alcun beneficio. Se così fosse Nestor oggi, e Cristina domani, pagherebbero un prezzo politico immediato in patria e stabilirebbero un precedente negativo rispetto ai molti conflitti in difesa dell’ambiente che si stanno profilando nel paese, dalla Patagonia al Chaco e che probabilmente, tanto più si approfondirà la capacità dei cittadini di partecipare, caratterizzeranno gli anni a venire.