Venezuela: tra successi e difficoltà, la rivoluzione bolivariana alla prova delle elezioni parlamentari

100830235504_sp_yol_270b Domani, 26 settembre, si vota per eleggere i 165 deputati del parlamento venezuelano. Tra indubbie conquiste e grandi problemi macroeconomici e di sicurezza, la rivoluzione bolivariana dovrebbe continuare ad avere il consenso delle masse venezuelane e patire, come sempre, l’odio viscerale delle élite del paese e della grande stampa internazionale.

Secondo gli ultimi sondaggi il PSUV (Partito Socialista Unitario del Venezuela), del presidente Hugo Chávez, dovrebbe mantenere la maggioranza assoluta in parlamento, a testimoniare l’ostinazione dei venezuelani nel cercare un loro modello lontano dalla lunga notte neoliberale e dalla corruzione della IV Repubblica, che aveva spinto verso povertà o inedia i tre quarti della popolazione.

Il cartello delle opposizioni prova per l’ennesima volta a riorganizzarsi. Lo fa stavolta nel MUD (Mesa de Unidad Democrática), un ombrello per una dozzina di gruppi nazionali e una trentina regionali che vanno dai vecchi dinosauri del COPEI e dell’AD (democristiani e socialisti che governarono dal 1958 al 1998) a golpisti di varia natura, gruppi di destra più o meno presentabile per finire per finire a spezzoni di sinistra critici con il chavismo.

Comunque andranno le elezioni però non sarà facile per il PSUV. Tornerà ad esserci in parlamento un’opposizione, ed è positivo. Questa sarà forte ma eterogenea (da Forza Nuova a Ferrando per capirsi). Tornerà in parlamento dopo lo scellerato boicottaggio del 2005, quando, peraltro allo sbando, dopo aver perso malamente il referendum revocativo del 2004, fu mal consigliata al boicottaggio dal governo Bush che puntava su un rovesciamento violento del governo legittimo.

La campagna come sempre è stata accesissima. Da una parte si accusa il PSUV, alla prima importantissima prova parlamentare in quanto tale, di spingere il paese verso il "castro-comunismo". Dal governo si accusa di volerlo riportare nel baratro della IV repubblica, oligarchica e neoliberale dove il 70% dei venezuelani erano esclusi.

Il voto elettronico

Non è più una curiosità che alle elezioni venezuelane di domenica si voterà nuovamente con il sistema più sicuro del mondo. Il voto è elettronico ma semplicissimo. Avviene con macchine a tecnologia venezuelana, nonostante il sistema operativo sia Windows. Il sistema di criptaggio del software può essere aperto solo usando contemporaneamente tre chiavi, una delle quali è in possesso dell’opposizione.

La differenza principale con altri sistemi di voto computerizzato è che la macchina (chi scrive ha avuto in passato occasione di testarla personalmente) emette una scheda dove è riportato il voto.

L’elettore può quindi controllare il suo suffragio su carta e, solo se corrisponde al suo volere, lo conferma. Quindi piega la scheda, esce dalla cabina e inserisce la scheda nell’urna. A quel punto, alla chiusura dei seggi, si trasmettono i risultati che giungono in un lampo a Caracas anche dalla più remota selva amazzonica. Contemporaneamente, però, vengono aperte e scrutinate il 55% delle urne, di gran lunga il campione più alto al mondo, e si verifica che il voto elettronico corrisponda a quanto espresso nell’urna.

Come scrisse nel 2006 il "Washington post", nel riconoscere i meriti della democrazia venezuelana, se avessero avuto una macchina del genere negli Stati Uniti, George Bush probabilmente non sarebbe mai stato eletto. Eppure, nonostante ciò, l’instillare il veleno del dubbio di possibili brogli è uno sport sempre popolare. Soprattutto nella stampa occidentale che, altrimenti, non riuscirebbe a spiegare come mai dopo oltre un decennio di demonizzazione, Hugo Chávez (il twitter @chavezcandanga ha 850.000 abbonati) continui ad essere popolare.

Bilancio chavista

Proprio la riduzione della disuguaglianza, che però non fa titoli sui giornali, è la maggior carta che può giocare Hugo Chávez di fronte al suo popolo. La stragrande maggioranza dei venezuelani sta meglio di dieci anni fa e di recente l’ONU ha certificato che nessun paese al mondo nell’ultimo decennio ha fatto ridotto, addirittura del 18%, gli indici di disuguaglianza del paese.

Peccato che la lenta riduzione di differenze sociali, che restano enormi, che significa case più dignitose, servizi pubblici, salute, scuole, trasporti, risulti oscurata, in buona o in malafede, da altri problemi che occupano le prime pagine e continuano a prestare il fianco alla demonizzazione del processo rivoluzionario.

Il più denunciato è la violenza di strada, comune a buona parte del Continente, ma particolarmente osservata qui dai media internazionali che preferiscono occultare altri casi critici, dal Messico alla Colombia agli stessi Stati Uniti. Questa, se non è colpa del governo, non è neanche stata arginata da questo. L’altro grande problema, strutturale, è l’evidenza macroeconomica che il Venezuela continua ad essere troppo dipendente dalla ricchezza petrolifera. Se col petrolio sono state possibili grandi conquiste sociali qualcosa in più doveva essere fatto per rompere la schiavitù da monocultura. Ciò rende il Venezuela il paese latinoamericano più vulnerabile proprio a quella crisi del neoliberismo dalla quale ci si vorrebbe distanziare costruendo in pace e democrazia un sistema più giusto.

In tale contesto una parte della redistribuzione viene erosa dall’inflazione. Questa è alta, ma chi la denuncia finge di dimenticare com’era prima di Chávez. Lo stesso vale per la corruzione. È particolarmente repellente l’ipocrisia di chi durante la IV Repubblica non aveva problemi a vivere in uno dei paesi più corrotti del mondo e oggi si scandalizza perché è escluso da un abbeveratoio al quale ha attinto per decenni. La verità è che in Venezuela tutto continua a girare intorno al petrolio. Soprattutto, ed è il grande nodo irrisolto, la dipendenza dal petrolio è anche dipendenza dall’import (il 70% dei consumi). Ciò impedisce di creare posti di lavoro genuini e, almeno in parte, alimenta la violenza endemica.

Comunque andrà per l’opposizione sarà un successo rispetto allo zero del 2005. Ma sarà un successo anche per il PSUV confermarsi in un paese in recessione conclamata e dopo più di un decennio al governo. La sensazione è che… habrá Chávez pa’rato.