Ma i precari storici non hanno necessariamente ragione

precari L’inadeguatezza e il cinismo di Mariastella Gelmini, con la sua dichiarazione di guerra di ieri e il dramma reale dei precari storici espulsi dal sistema a 40-50 anni spesso dopo 15 o 20 anni di insegnamento, non può occultare alcuni problemi storici nella selezione del corpo docente della nostra scuola pubblica.

Va ricordato infatti che molti precari storici non hanno mai vinto un concorso (anche per la buona ragione che i concorsi non si fanno) e in parecchi casi non si sono neanche peritati di conseguire un’abilitazione, minimo livello indispensabile per pretendere di diventare di ruolo.

Molti dei 200.000 precari sono meravigliosi insegnanti che andrebbero senz’altro premiati e immessi in ruolo, riparando ai danni pregressi del precariato sulle loro vite. Altri sono pessimi, seduti da sempre a fare danni soprattutto per inazione, convinti che il solo fatto di avere messo il loro grosso sedere su una cattedra scolastica dia loro diritto a star lì aspettando la pensione. Un paese serio troverebbe dei meccanismi seri per individuarli ed emarginarli mettendoli in condizione di non nuocere alle nuove generazioni.

Pur se questi ultimi sono sicuramente una minoranza, va detto che purtroppo hanno sempre avuto la pervicace solidarietà dei sindacati, in particolare della CISL, nella stolta convinzione che l’aver trovato a 20 anni un preside disposto a farti fare un’ora di supplenza significasse maturare un diritto inalienabile “al posto”, magari trent’anni dopo. Inoltre hanno avuto almeno la non belligeranza di qualunque governo di ogni colore, compreso quello Berlusconi ed inclusa la Gelmini, che blatera di merito ma opera scelleratamente tagli orizzontali che colpiscono più i giusti che i peccatori, più i giovani (30-40enni mica imberbi) che i vecchi.

Discriminare tra insegnanti validi e scarsi, discernere tra chi vale a scuola e chi non ha nulla di buono da dare, sarebbe un dovere di oggi, senza aspettare che il tempo faccia il proprio corso. Purtroppo men che alla Gelmini interessa discernere ai sindacati che rappresentano oggettivamente i clientes più anziani e sono disinteressati ai giovani che la tessera non ce l’hanno.

Con i numeri accumulatisi negli ultimi anni non esistono soluzioni con bacchetta magica. La Gelmini ha operato però per distruggere quel poco di buono che era stato fatto nel recente passato per discernere chi merita un lavoro nella scuola (sicuramente meno di 200.000 ma non possono essere così tanti gli espulsandi) e chi invece deve urgentemeùnte essere accompagnato alla porta perché dannoso per le nuove generazioni. Se la Gelmini blatera di merito (ma poi la beccano a leggere il settimanale “Chi” in parlamento mentre si discute delle sue leggi) dovrebbe introdurre criteri valutativi e/o concorsuali, che se non possono necessariamente assorbire tutti quelli che negli ultimi decenni hanno fatto qualche supplenza a scuola devono scegliere in maniera razionale chi immettere e chi no.

La Gelmini ha per esempio chiuso le SSIS, viste come il fumo negli occhi dai precari storici e dai sindacati ma che avevano molti meriti nell’operare una selezione a monte del personale docente e obbligare tutti i laureati (in chimica come in diritto) a due anni di tirocinio e studio della didattica. La SSIS fu abolita con un tratto di penna anche perché i trentenni che in quella scuola venivano abilitati (spesso bravi ed entusiasti anche se le maglie potevano essere troppo larghe anche lì) avevano la colpa di scavalcare in graduatoria molti precari storici.

In questi anni sono state operate due sole forme di selezione. La prima è generazionale. Tutti i passi della Gelmini, a cominciare dalla chiusura delle SSIS, dicono ai giovani nati nella seconda metà degli anni ‘70 e nei primi anni ‘80 che devono cercarsi un altro mestiere perché il sistema prescinde da loro, indipendentemente dal loro merito, dalla loro predisposizione e dal loro entusiasmo.

L’altra selezione è stata operata andando dietro alle foie razziste della Lega impedendo incostituzionalmente ai docenti di scegliere la propria sede di lavoro andando dove il lavoro c’è. Ciò non significa non colpire gli assenteisti, quelli che si “ammalano” ogni volta che da Biella tornano a Bari per il fine settimana, che vanno bastonati e se legittimo espulsi dal sistema. Ma il sostenere qualsiasi legittimità ad una selezione degli insegnanti per appartenenza etnica alla tal tribù indigena della Val Brembana, così come vuole il clientelismo della Lega, è una delle ignominie dei nostri anni.

Per abbozzare una soluzione del problema ed operare dei tagli non orizzontali e che non calpestino diritti oggettivamente acquisiti a chi ha comunque dedicato molti anni alla scuola e non ha plausibili alternative occupazionali, bisognerebbe agire ora e con coraggio.

Si potrebbe sanare la situazione terribile di chi ha completato molti anni scolastici, almeno 15, senza essere entrato in ruolo e si potrebbero mettere in competizione i rimanenti con una formula che azzeri o quasi il valore del punteggio raccattato nel corso del tempo trascorso in aula ed esalti invece la preparazione e l’aggiornamento. In questo deve esistere un interesse nazionale che si prenda la responsabilità di immettere in ruolo un brillante 28enne e accompagni alla porta un mediocre 40-50enne.

In 12-18 mesi (forse in un altro paese), in tempo per l’anno scolastico 2012-2013, si potrebbe fare, trovando meccanismi il più possibile oggettivi e nazionali per scremare l’ingorgo che la Gelmini vuol sciogliere con la spada. A quel punto avremo suddiviso l’universo precario in quattro categorie diverse: 1) i sanati, selezionati per anzianità perché sarebbe troppo penalizzante escluderli. 2) i vincitori dei nuovi concorsi, quelli davvero bravi, che dovrebbero entrare in ruolo immediatamente e senza che i giovani siano penalizzati dall’attesa dell’assorbimento dei vecchi. 3) un piccolo bacino di idonei non vincitori utili alla normale copertura delle supplenze che sarebbero gli unici a restare ancora precari. 4) I bocciati: quelli che non avrebbero dovuto mai salire in cattedra e che l’attuale sistema, che la Gelmini non discerne, non avrebbe mai scartato se non per sfinimento.

Evidentemente la scuola è ben altro che il problema dell’accesso in ruolo degli insegnanti ma la maniera con la quale si fa cassa sulla pelle dei precari non può non essere affrontata. I migliori tra i giovani immessi, e chiudo con un’idea che va oltre il mero calcolo sul precariato, dovrebbero poter scegliere di andare nelle cento scuole più difficili d’Italia, da Scampia a Tor Bella Monaca, con progetti europei ad hoc, risorse economiche e premi stipendiali notevoli (nell’ordine del 30-50% in più).

In quelle scuole dovrebbero poter rimanere per un periodo limitato, un lustro o poco più ma necessariamente in anni giovanili e accedendo alle cattedre per l’eccellente curriculum di studi e non come premio alla carriera. Dopodiché o quell’equipe ha fatto in modo che quella scuola esca dal ranking del maggior disagio oppure quei docenti potranno e dovranno cambiar scuola senza più premi. Ma di tutto ciò le razionalizzazioni della Gelmini, che considerano merito andare a lavorare con i bravi ragazzi borghesi e penalizzano chi va in periferia a insegnare l’italiano ai figli degli immigrati, non vogliono sentir parlare.

Gennaro Carotenuto è stato docente responsabile dell’indirizzo linguistico-letterario della SSIS dell’Università di Macerata

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