Orlando Zapata

Dopo aver pubblicato ieri il pezzo critico di Raffaele de la Rosa, pubblichiamo anche il punto di vista di Alessandra Riccio, codirettrice di Latinoamerica (gc).

Dicono che Orlando Zapata era fondatore del partito Alternativa Repubblicana ma non sappiamo di questo partito né i programmi né la consistenza. Dicono che era un prigioniero politico ma sappiamo che dal luglio del 1990 entrava e usciva dalla galera con le accuse di possedere armi bianche, due volte per truffa, per esibizionismo, per disordine pubblico e resistenza, due indiscipline che ha continuato a praticare nel carcere.

Nel 2001 era in libertà e come libero cittadino aveva deciso di associarsi ai gruppi di dissenso contro il governo. Nel 2003 torna in prigione, probabilmente come uno dei più di cinquanta dissidenti il cui arresto ha suscitato molto scalpore anche in Europa, motivando sanzioni e prese di distanza. Fatto sta che quel giovane muratore è diventato un “prigioniero politico” per gli avversari del governo cubano che invece lo ha considerato piuttosto un delinquente comune che dava continui grattacapi. La sua condanna iniziale a tre anni era cresciuta in successivi processi fino a 25 anni  per azioni  violente e aggressione a funzionari penitenziari.
Il 18 dicembre del 2009, Zapata aveva iniziato uno sciopero della fame perché non venivano esaudite le sue richieste di avere in cella una cucina e un telefono personale. Pareva ossessionato dal problema del cibo e mangiavo solo quello che gli portava la sua famiglia.
Ostinato nel proseguire il suo sciopero della fame, non risulta che i suoi compagni di lotta, i gruppi dissidenti, i simpatizzanti che dai luoghi dell’ esilio tifavano per lui abbiano cercato di farlo desistere per lo meno quando la situazione si stava protraendo oltre il possibile. In altre occasioni, lo sciopero della fame di alcune teste più visibili del dissenso era stato interrotto a tempo. I giorni della sua agonia Orlando li ha passati nell’infermeria del carcere, poi nell’Ospedale Provinciale di Camagüey e alla fine nell’Ospedale Nazionale per Reclusi dell’Avana sempre sotto la sorveglianza del medici che gli hanno praticato le terapie di alimentazione forzata; una sopraggiunta polmonite bilaterale ha posto fine a quell’agonia.
Sua madre lo ha potuto accompagnare e non ha negato che al figlio siano state prestate tutte le cure necessarie; d’altra parte, appena qualche mese prima Zapata era stato operato di un tumore al cervello. Ma adesso c’è chi si scaglia anche contro i medici cubani, accusandoli di aver servito i tenebrosi disegno dei fratelli Castro, ormai descritti come dei consumati torturatori sempre pronti alle peggiori abiezioni.
La morte di Zapata, disgraziatamente coincide con la Presidenza Spagnola alla Comunità Europea e con il lavoro paziente del Ministro degli Esteri Moratinos, per convincere il parlamento europeo a normalizzare i rapporti con Cuba dopo quell’infausto 2003. Questa coincidenza ha scatenato negli ambienti ostili al governo cubano una cieca indignazione che gonfia i dati, tace i dettagli, esagera nelle accuse e dà per scontato che a Cuba si pratichino morti extragiudiziarie, si torturi e si violino i diritti dei detenuti.
Yoani Sánchez ha avuto la tribuna d’onore sul quotidiano spagnolo “El País”, in assoluto il giornale che ha preso più a cuore la morte di Zapata. In una Tribuna veemente, la blogger più famosa del mondo si indigna –fra gli altri infiniti orrori del mondo castrista- che al povero Zapata fossero state vietate le visite dei familiari. Da dodici anni due dei Cinque prigionieri politici detenuti nelle carceri statunitensi non possono ricevere la visita delle loro mogli perché il dipartimento di Stato teme che possano rappresentare un pericolo per il paese.
Sulla tomba di Orlando Zapata, invece della pietà, si è voluto scatenare la bagarre utilitaristica, facendo di quel muratore indisciplinato e ribelle uno strumento di macabra utilità nella pur legittima battaglia che ciascuno ha il dovere di condurre per affermare le proprie idee.

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