Caso Hanefi: se siamo lì per contare, allora per D’Alema i nodi vengono al pettine

Siamo in Afghanistan per ricostruire il sistema giudiziario ma Rahmatullah Hanefi rischia di essere condannato a morte senza assistenza legale. Se è vero che ‘solo essendoci contiamo’, Massimo D’Alema non può tollerarlo.

Rahmatullah Hanefi, funzionario di Emergency e mediatore nel caso Mastrogiacomo, è nelle mani dei servizi segreti (afghani?). E’ accusato di omicidio e rischia la pena di morte. Ma non è l’accusa, probabilmente ma non necessariamente pretestuosa, e nemmeno l’eventuale condanna a morte ad essere la cosa più sconcia della vicenda. La cosa insopportabile della vicenda è che, secondo il diritto del nuovo Afghanistan democratico, l’accusa di collaborazione con i talebani eliderebbe il diritto alla difesa dell’imputato. Ovvero, sembra necessario esplicitare una tale aberrazione, Rahmatullah Hanefi, per il diritto del nuovo Afghanistan democratico, potrà essere condannato a morte senza avere assistenza legale.

L’Italia ha investito almeno 50 milioni di Euro nella ricostruzione e nell’assistenza della giustizia afghana. Tale responsabilità è costantemente citata come uno dei motivi fondamentali per i quali vale la pena di restare in Afghanistan. Il caso Hanefi, e il non diritto all’assistenza legale, testimonia al contrario che il re è nudo e che non c’è nessuna garanzia giuridica né processuale, né tantomeno Habeas Corpus, nell’Afghanistan occupato. Chi decide è il magliaro Karzai e i servizi segreti di un paese (gli Stati Uniti d’America) che non riconosce più l’Habeas Corpus come il primo dei diritti dell’individuo. Se Rahmatullah Hanefi dovesse essere giudicato e condannato senza beneficiare di diritti civili elementari, sarebbe la dimostrazione che i 50 milioni di Euro sono stati semplicemente buttati nel pozzo afghano e che la nostra presenza in quel paese è insignificante e ancora meno giustificata.

Il Ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, tenta in Afghanistan un ossimoro simile alla “guerra umanitaria” con la quale fu distrutta nel 1999 la Yugoslavia. Come all’epoca della ‘Missione arcobaleno’ ci racconta che bisogna “esserci per contare”. Lo prendiamo in parola. O otterrà che il processo -a questo punto non solo inevitabile ma auspicabile- contro Rahmatullah Hanefi, avvenga per via ordinaria e con ogni garanzia degna di uno stato di diritto, oppure D’Alema deve trarre le dovute conseguenze e dimettersi e chi lo sostituirà dovrà domandarsi se è possibile ed opportuno continuare a mantenere relazioni con il governo Karzai. Tertium non datur per il paese responsabile della ricostruzione del sistema giudiziario afghano e per il ministro che afferma che solo se siamo lì contiamo.


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